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Il Comando

Per natura, Venkataraman parlava poco e amava stare da solo. Era molto cambiato e questa trasformazione si notava, ma né i membri della sua famiglia né gli amici potevano supporre cosa gli stesse accadendo. Non giocava più con i suoi amici e non cercava più la loro compagnia. 

Le sue visite al tempio di Meenakshi erano sempre più frequenti e passava la maggior parte del tempo seduto tranquillamente, con gli occhi chiusi in meditazione. La sua precedente sensibilità, le sue pronte reazioni andavano smorzandosi. Lui, che prima era intollerante ad ogni osservazione divenne indifferente ad ogni nota di sarcasmo.

La sua passata sensibilità lasciava posto alla rassegnazione. Riguardo al cibo, da tempo non aveva nessuna preferenza, divenne umile. Continuò ad occuparsi della famiglia, del lavoro abituale, come una meccanica routine. Riprendeva i libri ma la mente era altrove, ed  il suo interesse allo studio, che non era mai stato grande, cominciò a diminuire.

All’inizio, questa condotta gli comportava dei dolci rimproveri che finivano poi in punizioni. Suo zio e suo fratello si lamentavano: “anche se intelligente, ha sempre mostrato così poco interesse per lo studio e quel che è peggio, ora ha questi inutili pensieri spirituali”. Il fratello che gli faceva spesso queste sarcastiche osservazioni avrebbe detto, “tu saggio, visto che sei così preoccupato per lo studio, sicuramente potresti andare nella foresta.”  “Qualunque fosse la buona volontà e l’amore dei genitori  e per quanto potessero desiderare per il suo benessere terreno, avrebbero approvato la rinuncia?"

In casa e all’esterno, Venkataraman fronteggiava l’opposizione, i suoi amici lo evitavano e qualche volta lo rendevano ridicolo, ma Venkataraman non ricambiava le offese, non rispondeva mai. Alcuni amici avevano per lui grande stima, altri lo temevano. Gli insegnanti lo rimproveravano e lo punivano. 

In aggiunta, c’era quel senso di bruciore in tutto il corpo che lo lasciava inquieto e soltanto quando sedeva in meditazione si calmava. Di fronte alle ostilità della casa e dell’esterno, crebbe in Venkataraman un avversione verso il mondo. Il suo solo amore era per i piedi del Signore. Pensava che sarebbe stato piacevole morire, “quando il volere del Signore mi mostrerà la Sua misericordia”, lamentava spesso.

Era un sabato del 29 agosto 1896, circa le undici del mattino, l’insegnante lo punì facendogli scrivere per tre volte la lezione di grammatica che non aveva studiato. Venkataraman seduto nella stanza al piano di sopra iniziò a svolgere il lavoro richiesto; con grande sforzo copiò la lezione due volte, poi  si chiese: “Sono una macchina che deve compiere un lavoro senza avere per esso alcun interesse?”

In quel preciso momento smise di scrivere, mise da parte il testo di grammatica, si mise in posizione meditativa e iniziò a meditare. Nagaswami, suo fratello, era lì vicino e osservava. Non poteva tollerare quel comportamento e senza alcuna premeditazione pronunciò queste severe, ma vere, parole, “cosa significa un tale comportamento?”

Tali pungenti rimproveri da parte di suo fratello non erano nuovi per Venkataraman ma ora venivano percepiti come lo scoccare di una freccia. “Si, è vero, non mi interessano gli studi, il mio interesse è altrove. Perché restare a casa quando non mi preoccupo delle responsabilità della famiglia? Quale è lo scopo di rimanere qui?” pensava Venkataraman, quindi decise di lasciare immediatamente la casa e per sempre.

Ma… poi che fare, dove andare (chi era il sostegno)? In un lampo, “Arunachala” danzò davanti all’occhio  della mente. Un anno prima il nome del Signore fece fremere il suo cuore e poi sparì, quel giorno apparve di nuovo. Ancora una volta lo stesso palpito, la stessa devozione, lo stesso impulso emozionale lo riempiva di Lui. Realizzò che il Padre dell’Universo sarebbe stato suo Padre e il suo rifugio.

Fu un altro lampo nel cuore che gli fece udire queste parole? O fu suo Padre che con un cenno gli diceva di andare? Se il Padre stava tendendogli le braccia, poteva il figlio non precipitarsi nell’abbraccio? doveva correre alla Presenza di Arunachaleswara.

Anni dopo, Bhagavan stesso disse che aveva lasciato la sua casa per cercare rifugio in Arunachaleswara e che portava con sé quel potere, quell’irresistibile forza da tempo.

“Ho scoperto una cosa nuova! Questo colle, la calamita degli esseri viventi, sospende ogni attività della persona che, se consapevole, è catturata di fronte ad esso, e diventa immobile come lui ( il colle), per nutrire l'anima di chi è maturo. Che cosa meravigliosa è questa! Oh Anime! Siatene consapevoli e vivete! E' così che distrugge l'ego, questa magnifica Arunachala, che brilla nel Cuore!”

 Verso 10, Arunachala Padikam (Undici versi a Sri Arunachala)