N.R. Krishnamoorty Aiyer
Adesso ho novantadue anni, incontrai la prima volta il Maharshi nell’estate del 1914, quando ero un ragazzo di 16 anni. Eravamo in pellegrinaggio a Tirupati e ci fermammo a Tiruvannamalai, da dove mia nonna proveniva. Non eravamo stranieri in questa città. Nel gruppo di pellegrini c’era un mezza dozzina di ragazzi, tutti più o meno della mia stessa età. Decidemmo di salire alla grotta di Virupaksha dove Il Maharshi allora viveva ed era piacevole notare l’attenzione che prestava alle nostre attività.
Stavamo tutti giocando con il guscio di una conchiglia. La conchiglia era suonata dai sadhu che andavano in città per mendicare cibo. Uno dopo l’altro, anche noi tentavamo di soffiare il guscio della conchiglia, nessuno ce lo impedì, anzi notai un sorriso di incoraggiamento da parte del Maharshi. Questa fu la mia prima visita. Otto anni più tardi, tornai a Tiruvannamalai per rendere visita a mia sorella che celebrava il suo matrimonio. Una sera, insieme a due compagni andammo a visitare Kavyakanta Ganapati Muni nel suo asram sulla collina. Cosa posso dire di quel grande veggente del Mantra Sastra?
A quel tempo ero uscito dal college dopo aver discusso la mia laurea in fisica. Presentai a Kavyakanta le ultime opinioni di Einstein, Plance e altri, relative alla costituzione della materia e dell’universo. Egli ascoltò con pazienza, e poi disse, “Puoi farne un riassunto?” Rispondendo affermativamente illustrai, che c’è un continuo nel quale tempo e spazio sono coinvolti, in cui l’energia si manifesta ora in particelle e ora in onde e tutto si dissolve in un unico elemento unitario. Questa è la prospettiva del futuro.
Egli ascoltò pazientemente e disse, “L’immagine mondo è in quella cornice,” e dopo una pausa esclamò, “chitram, chitram!” significa: ‘immagine’ - potete chiamarlo un film-immagine. A queste parole un brivido attraversò il mio corpo e mi sentii dissolvere. Ero l’intero spazio in cui erano poste le immagini – questo corpo era una delle immagini. Questa esperienza durò per una breve eternità. Quando ritornai in me, ci congedammo da Kavyakanta.
Il giorno seguente incontrammo Bhagavan. Era all’incirca il periodo in cui si era stabilito nel luogo del presente Sri Ramanasramam (1922). Non c’erano ancora edifici, eccetto una piccola tettoia che copriva il samadhi della Madre.
Bhagavan era seduto su una panca sotto l’ombra di un albero, e con lui, sdraiato sulla stessa panca, vi era il cane chiamato Rose. Bhagavan lo accarezzava dolcemente.
Rimasi meravigliato, per noi Bramini il cane era un animale che contaminava la purezza. Parte del mio rispetto venne meno quando vidi il Maharshi toccare quell’animale impuro - per quanto apparentemente fosse pulito e lindo, dal punto di vista del Bramino esso era immondo.
Avevo una domanda per il Maharshi. A quel tempo ero un agnostico. Pensavo che la natura si prendesse cura di se, perchè il bisogno di un Creatore? Quale è l’utilità di scrivere tutti questi libri religiosi che raccontando storie ‘cock and bull’[1] non cambiano la situazione. Volevo sottoporgli delle domande franche: c’è un’anima? C’è un Dio? C’è la salvezza? Tutte queste domande si concentrarono in una: Bene signore, tu sei seduto qui in questo modo - posso vedere il tuo stato attuale - ma quale sarà la tua futura sthiti? (condizione – stato).
Il Maharshi non rispose. “Oho”, pensai, “Ti stai mettendo al riparo sotto l’aspetto di un silenzio indifferente per non rispondere ad una domanda inconveniente!” Appena pensai ciò il Maharshi replicò e sentii come se una bomba fosse esplosa sotto il mio sedile.
“Sthiti, cosa intendi con la parola sthiti!” egli esclamò.
Non ero preparato alla domanda. “Oho, quest’uomo è molto pericoloso, pericolosamente attento, dovrò rispondere con molta cura,” pensai. Così dissi a me stesso, “se gli chiedo della sthiti del corpo è inutile: il corpo sarà bruciato o seppellito. Quello che posso chiedergli è la condizione riguardo qualcosa dentro il corpo. Naturalmente, posso riconoscere una mente dentro di me.” Stavo per rispondere, “Per sthiti, intendo la mente,” quando ebbi l’impressione che se lui avesse fatto la domanda “cosa è la mente?” a questo non ero preparato a rispondere.
Mentre tutto ciò passava nella mia mente egli era lì seduto a fissarmi con uno sguardo intenso.
Allora mi domandai, “Cosa è la mente? la mente è fatta di pensieri. Cosa sono i pensieri?”. Caddi in un vuoto. Nessuna risposta. Realizzai che non potevo porre una domanda ad una mente inesistente. Fino a quel momento, la mente era per me la cosa più grande che esisteva. Adesso scoprii che non esisteva. Ero disorientato. Ero seduto semplicemente come una statua.
Due paia di occhi…gli occhi del Maharshi e i miei erano strettamente uniti in un abbraccio. Persi ogni sensazione del corpo. Nulla esisteva eccetto gli occhi del Maharshi.
Non so per quanto tempo rimasi così, ma quando tornai alle mie sensazioni, ero terribilmente impaurito, “Questo è un uomo pericoloso,” pensai. Mio malgrado, mi prostrai e mi allontanai dalla sua compagnia.
Intervista di Dennis Hartel Dr. Anil K. Sharma al prof. N.R. Krishnamoorty Aiyer:
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l nostro stimato professore descrive vividamente le esperienze più importanti che ebbe, stando seduto vicino al Maharshi, e come la sua vita fu trasformata.
“La mia visita successiva al Maharshi fu nel 1934, nel Jayanti Day. Egli era seduto su un palco rialzato sotto una tettoia di paglia di fronte al Tempio della Madre. Mentre la celebrazione si svolgeva, tutti i devoti erano seduti intorno a lui. Mentre sedevo lì, i miei occhi fissavano intensamente il Maharshi e vidi la sua forma assumere manifestazioni diverse. Prima cambiò nell’Avatar di Vishnu (Vahar Avatar), poi la sua forma cambiò in quella di Ganesha, il Dio elefante, successivamente cambiò ancora e vidi Ramana e Arunachala come un tutt’uno. Ebbi la visione dell’intero monte di Arunachala - la sua sommità era trasparente e al suo interno vidi uno Shiva Lingam, simile a quelli che vediamo nei templi.
I devoti cantavano il Marital Garland of Letters. Quando iniziarono a cantare gli ultimi versi, “Mio Signore, fa’ che ci scambiamo ghirlande - il devoto (la sposa) offre la ghirlanda al Signore Arunachala (lo sposo), e il Signore offre la ghirlanda al devoto", improvvisamente vidi ghirlande di fiori apparire nel porticato. Il Maharshi aveva una collana di fiori avvolta intorno al collo, e tutti i devoti (me incluso) avevamo una collana di fiori attorno al collo. Vidi una grande ghirlanda intorno allo Shiva Lingam sulla sommità della collina. Tutte queste ghirlande rifulgevano di uno splendore abbagliante. Questa esperienza mi convinse dell’esistenza delle divinità menzionate nelle antiche scritture.
Più tardi, nell’Atrio Antico, sedetti ai piedi del Maharshi. Egli era adagiato sul cuscino guardando verso occidente e io sedevo sul pavimento di fronte a lui. I nostri occhi si incontrarono, fissandosi, e restarono immobili per un tempo piuttosto lungo. Quindi vidi la forma del Maharshi assumere quella di Ardhanareswara.
Ardhanareswara è un aspetto di Shiva – metà è la Madre e l’altra metà è il Padre; metà della forma aveva un seno e l’altra metà un tridente. Intorno a noi i pundit recitavano versi in Sanscrito.
Mentre la visione continuava, iniziai a sentire certi cambiamenti nel mio corpo. Vidi una coppia di serpenti alzarsi dalla base della mia spina dorsale in modo incrociato, a spirale. Si elevarono fino alla sommità del mio capo e allungarono i loro capi. Uno era rosso; l’altro blu. Il mio intero cranio fu avvolto da una luce brillante. La mia attenzione era fissa sul punto tra le sopracciglia, sul quale le teste dei serpenti erano rivolte.
D’un tratto si aprì una fenditura nel mio cranio, dalla sommità alla parte inferiore, seguì un fiotto verticale di una fiamma rosseggiante che guizzava fuori dalla sommità del mio capo. Mentre questa fuoriusciva, un torrente di nettare scaturì dal seno della forma Ardhanareswara del Maharshi, e un secondo torrente di nettare scaturì dalla sommità di Arunachala. Entrambi i torrenti si congiunsero sul mio capo e chiusero la frattura del mio cranio. Quando il cranio fu saldato feci l’esperienza di una luce brillante, come quella di una lampada ad arco, e un’indescrivibile gioia e freschezza pervasero il mio essere. Questa luce e questa gioia continuarono per molte ore. Per tutto il tempo non mi mossi dal punto in cui mi trovavo, e non ero consapevole di cosa stesse succedendo intorno a me. Vi sarà capitato di vedere una luce messa a fuoco in uno specchio concavo. La sua luce si riflette con un singolo raggio concentrato in un punto. Bene, alcune volte a mezzanotte tutta la luce, come in uno specchio concavo, era focalizzata nel Cuore. In quel momento tutta la luce defluiva nel Cuore. La Kundalini era completamente risucchiata nel Cuore e il Cuore si apriva - la sede di Arunachala Ramana.
Normalmente Il Cuore è chiuso, ma, in quell'istante, quando si aprì, un fiume di nettare scaturì copioso e inzuppò ogni poro della mia pelle, inzuppò il mio intero sistema fisico. Si riversò fuori, fuori, continuò a fuoriuscire con un grande flusso. Quel Nettare riempì l’intero Universo.
La cosa sorprendente era che la mia consapevolezza non era nel corpo – la mia consapevolezza era nell’intero spazio riempito da quel Nettare. L’intero Universo era Nettare. Lo chiamo Nettare; potreste chiamarlo Etere, qualcosa di molto sottile, connesso alla consapevolezza. E tutte le cose viventi e non viventi erano come fiocchi di neve fluttuanti in quell’oceano di Nettare. Se mi chiedete cosa fosse il mio corpo, il mio corpo era l’intero universo di Nettare, unito in ogni sua parte alla consapevolezza. Non c’era più alcuna associazione con il corpo dal quale il processo era iniziato – quel corpo era come ogni altro corpo.
Al mattino ogni cosa cessò, ma l’esperienza rimase. Ero completamente inconsapevole del mio corpo. Mi muovevo come un automa, non conscio del mio corpo. In quello stato tornai a Madurai, dov’ero professore di Fisica.
Questo successe durante una vacanza di Natale. Per le due settimane seguenti rimasi in quello stato. Con la riapertura del college mi assegnarono delle lezionie i miei parenti diventarono piuttosto preoccupati, poiché il mio comportamento era cambiato considerevolmente.
In seguito tornai al Ramanasramam con l’intenzione di ritornare alla mia regolare condizione terrena – non so cosa mi fece sentire questa urgenza. Arrivai e mi sedetti di fronte al Maharshi nell’Atrio Antico. Non diede cenno di accorgersi della mia condizione e rimase seduto, apparentemente senza preoccuparsene. Dopo un po mi dissi, "Bene, sembra che io sia indifferente al figlio (Maharshi). Cerchiamo dunque rifugio in mia madre, Alagammal." Entrai e mi sedetti nella stanza del samadhi della Madre. All’epoca era solo una stanza dal tetto di paglia. Presi il libro Jnana Vashistha e iniziai a leggerlo dall’inizio alla fine, con la speranza di trovare la soluzione al mio dilemma. Continuai a leggere senza mangiare per tutto il giorno. Alla sera giunse la risposta: una stanza del Jnana Vashistha diceva, "Fra due pensieri c’è un intervallo di assenza di pensiero. Quell’intervallo è il Sé, l’Atman. Pura Consapevolezza."
In quei giorni ero solito ripetere il mantra 'Ram, Ram'. Così mi dissi: "Ram – questo è un pensiero; e Ram – questo è un altro pensiero. Ma nell’intervallo tra questi due pensieri c’è il silenzio. Quel Silenzio è il Sé." In questo modo, giunsi alla conclusione che se continuavo a ripetere 'Ram, Ram' tutto si sarebbe risolto in quel Silenzio.
Ero molto felice. Corsi a casa e realizzai che ero di nuovo la normale persona terrena, che dava lezioni ai suoi allievi nel modo consueto. Ma per tutto il tempo, anche quando tenevo lezione, 'Ram, Ram, Ram' continuava a ripetersi nel mio Cuore. Per nove anni andò avanti così, e poi cessò, spontaneamente. Tutto terminò nel Silenzio.