Dialoghi 01
A - E' vero che bisogna iniziare da ciò che si è... ma è fondamentale tendere a ciò che hanno scritto e detto i grandi Realizzati, senza cristallizzarsi sulle proprie opinioni.
B - E' quel tendere che alle volte lascia perplessi, occorre stare molto attenti, perché anche quel tendere si può cristallizzare in opinione.
A - Leggiamo cosa dice Ramana Maharshi dell'Atman: "...lo stesso Cuore, quale pura Coscienza o Atman, è oltre ogni coordinata spazio-temporale..." "La Pura Coscienza o Atman, completamente indipendente da corpo fisico e trascendente la mente, può essere solo un'esperienza diretta. I Saggi o Rsi conoscono l'eterna esistenza incorporea proprio come i profani conoscono la propria esistenza fisica, ma l'esperienza della Coscienza o Atman può avvenire sia con la consapevolezza del corpo che senza." (tratto da "Il Vangelo di Ramana" ed.I Pitagorici, pag. 111) ...inoltre leggiamo nel glossario alla voce Atman = l'Atman è l'Assoluto in noi, completamente fuori del tempo-spazio-causa, e, in quanto tale, è identico al Brahman, Assoluto in Sé.
B - Consideriamo una cosa... quando leggiamo le parole dei Maestri, come quelle di un qualunque rishi o testo sacro tradizionale dobbiamo cercare di ricordare che esse non sono la verità, ma la sua descrizione o l'indirizzo per la via cui giungere ad essa. Questo significa che ogni parola, ogni frase va letta, sì con gli occhi dell'amore per il Maestro, ma anche con la consapevolezza che la nostra mente non potrà mai immaginare ciò che è senza di essa.
Quello cui possiamo arrivare attraverso l'intuizione, il servizio, la vicinanza col Maestro, può essere oggetto di riflessione, di meditazione, ma difficilmente di confronto e discussione. Proprio per questo non può essere confrontabile col sentire di altri da noi se lo scopo è un confronto fine a se stesso.
Se invece il confronto serve al fine di ampliare la propria consapevolezza ammettendo nel proprio sentire anche quello dell'altro ecco che cade la divisione fra la molteplicità dei jiva. Anche nel confronto dialettico, è necessario l'amore, quell'amore che ci permette di vedere l'altro non più altro da noi, ma nostro semplice aspetto manifestato. Se uno di noi per un attimo lasciasse cadere le proprie convinzioni, non potrebbe non trovare l'altro in sé.
Per proseguire la discussione sulla natura dell'atman, forse c'è in ognuno di noi l'esperienza, poco prima di dormire o subito all'inizio dello stato di veglia o in altri momenti, la sensazione/percezione/vissuto di uno stato senza qualificazioni, attributi, eventi, pensieri, etc.
Per il fatto stesso che esiste un soggetto che ne parla e che lo percepisce, viene detto Atman per distinguerlo dallo stesso stato ma decisamente non duale che viene vissuto senza alcun soggetto, il Brahman. L'unica differenza, è che esiste ancora un soggetto. Un filosofo puo' giungere alla medesima esperienza attraverso la ragion pura, il bhakta vi arriva attraverso l'amore, etc.
Ma in realtà non e' vero nemmeno questo, o meglio e' pur sempre una visione parcellare. C'e' anche un altro punto di vista da cui affrontare la cosa. Usiamo un esempio già datato: il mare. Le singole onde costituiscono i jiva, gli enti individuati (dal vento, dal movimento, etc.). Quando il vento si placa, le onde svaniscono e si mostra un'unica superficie, la superficie e' definita dall'interfaccia aria, cioè è il limite dell'acqua, definito dall'esistenza dell'aria. E' la percezione di questo inizio di acqua che viene chiamato atman. L'acqua mossa si sente in moto e vede altre onde. L'acqua calma si vede/sente, proprio perchè limitata da un lato dall'aria, come superficie o essere, cioè si rende conto della sua natura di acqua. Proprio per la percipienza stessa di essere è ancora come dire... esistente ossia vita. Se l'acqua sprofonda in se stessa, ossia non ha più alcuna superficie, non è ne' definibile, né individuabile, né percettibile da ciò che idealmente la circonda. Ecco che brahman, atma e jiva sono la medesima sostanza o non sostanza.
Potremmo definire l'atman un aspetto di percipienza. Ma è veramente una sorta di azzardo. Da cosa nasce questo? Certe opere, comprese le stesse upanishad, sono tarde, non tutte risalgono a millenni e millenni fa. In India nel corso dei millenni si sono manifestate diverse scuole, ognuna spesso nata dall'esperienza di un rishi, di cui, gli adoranti discepoli tramandavano i detti e gli insegnamenti. Ora non necessariamente i discendenti o gli stessi rishi avevano raggiunto lo stato non duale, così potevano sorgere delle correnti che pur in ambito tradizionale non avevano le cosiddette chiavi di accesso ai Grandi Misteri.
D'altra parte c'erano rami tradizionali che usavano linguaggi diversi, quindi alcuni seguivano la scuola del Brahman e altri quella dell'Atman. Così come c'erano quelli che discutevano dell'Essere e del non Essere. Così come ci sono i rami Buddisti che disquisiscono se la Realtà Ultima è il vuoto, l'Essere o Altro.
Non possiamo entrare in merito del cammino altrui, ma ognuno ha lasciato diversi indirizzi e appare che mentre alcuni si sono fermati per contemplare la bellezza del Divino, altri lo hanno penetrato, altri ancora sono andati oltre l'Io Sono.
Sino ad oggi sappiamo che ci sono persone passate dalla realizzazione duale a quella non duale, ma non risulta in direzione opposta.
Sappiamo anche di campioni della spiritualità quali Ramakrishna e Ramana, Platone e Plotino, Gaudapada e Shankara che sono stati e sono di riferimento al mondo intero. Vediamo anche che i loro seguaci tendono ad assicurare l'unicità del loro Ideale e l'ovvia superiorità, con i rischi che vediamo oggi a livello macroscopico nel mondo.
A - Lo svolgersi dell'azione (lo dice la stessa parola) ha una sua parabola temporale, ovvero un inizio ed una fine. Il testimone e' sempre presente... prima dell'inizio, all'inizio, durante, alla fine, dopo della fine. ...non ho ancora capito chi è che decide di intraprendere le azioni che si compiono. Sono consapevole di un io che, essendo attratto o respinto da una serie di cose, si muove e agisce di conseguenza. Come la pallina del flipper quando rimbalza tra i "funghetti" che la respingono e le calamite che la attraggono. La direzione della biglia da chi è decisa se non dall'effetto dell'attrazione-repulsione?
B - Potremmo dire che l'azione si decide da se. Ma questo per la mente e' a dir poco folle, alcuni possono accettare il concetto di volontà divina, ma una azione auto sufficiente non ha né senso né logica. Chi vive il mondo della cause e degli effetti, vede l'azione come effetto di una causa, ma allora deve esserci una causa prima e questo non e' possibile perché avrà avuto a sua volta una causa. Allora occorre ammettere un generatore. Questo generatore da alcuni viene chiamato Ente Creatore.
Altri affermano che lo stesso Ente Creatore necessita di una origine, a questo aspetto si oppone l'idea dell'Eternità dell'Ente e della sua Assolutezza. Ma tale Assolutezza nega l'idea stessa di creazione, allora prende piede il concetto di manifestazione, ossia questo mondo non e' reale in quando molteplice, e risolta l'idea di esistenza l'ente si riconosce come Essere e quindi Assoluto. Questo concetto oltre ad essere raggiunto dialetticamente (e Platone ne è Maestro insieme a Gaudapada), è rimasto nella testimonianza di chi pur avendolo raggiunto è rimasto a testimoniare.
- Il ruolo del testimone è quello di testimoniare senza giudizio e intervento, vero?
- Consideriamo sempre che il testimone è pur sempre un artifizio di distacco, una necessità dialettica che serve a spiegare come sia possibile che un corpo vada a spasso senza che ci sia un io a determinarne le azioni (nel caso di un Jivanmukta).
In realtà lo stesso atto di testimonianza o osservazione è una sorta di azione. Ma è veramente difficile addentrarsi in queste esposizioni, ogni definizione cade nel suo opposto. Anche qui dipende da chi parla e da come si pone nella pratica. Una cosa è parlarne, un'altra è identificarlo nella pratica. Cercarlo non ha molto senso, è uno stato indifferente (non in senso di interesse, ma di "equilibrio indifferente", ossia che è in equilibrio quale che sia il movimento), pertanto non può essere percepito se non nella sua "assenza".
Fondamentalmente, per la pratica si può suggerire di cambiare visuale. Ad esempio immaginare che la nostra visione del mondo, il nostro centro sia situato al centro del petto, o anche su una spalla. Questo per cadere dall'abitudine di considerarsi dietro i nostri occhi o nella nostra testa. Tale pratica non necessita di meditazione, ma può essere continua e consiste anche nel considerare gli occhi come una finestra sul mondo attraverso cui si osserva.
A quel punto anche lo stesso corpo, mente, etc. è una sorta di mondo a cui ci si affaccia. Dobbiamo però ricordare che queste sono pratiche per coloro che ardono del fuoco della conoscenza e non del fuoco emotivo dell'entusiasmo. Chi si avvicina a tali pratiche senza averne le qualificazioni, rischia il proprio equilibrio psicofisico.
- Come fare a capire se siamo pronti per una tale pratica?
- Di solito ci si accosta ad un istruttore qualificato, un discepolo anziano e si verifica con lui se si e' pronti per una tale pratica.
- Come conciliare la non violenza con i doveri che ci richiede la società o il proprio lavoro?
- Il concetto di ahimsa (non violenza) non travalica le leggi, anzi le rispetta. Quando scoppiò la guerra boera in Sud Africa e anche quella Zulù, Gandhi e i suoi seguaci parteciparono attivamente alla guerra in un corpo medico, rischiando la vita al pari di tutti. Posso decidere di non uccidere, ma non posso esimermi, se appartengo ad una società e ne traggo beneficio di qualsiasi genere, di chiedere che le leggi siano applicate. Poi, potrò battermi con i mezzi previsti dalla legge stessa affinché essa venga cambiata. Ma non posso battermi contro la legge affinché non sia applicata.
Vidya Bharata
Newsletter Marzo 2002