Perché Bhagavan ignorò il Simbolismo
Considerando in quanti sottolineino la verità e la profondità del simbolismo, ci si potrebbe chiedere perché Bhagavan lo abbia ignorato, quasi senza farne cenno. Poiché il simbolismo è un utile aiuto nei percorsi indiretti, non è necessario in un cammino diretto di autoconoscenza o nel Vedanta Advaita su cui esso si basa.
Tre sono i livelli di percezione: fisico, universale e metafisico. Osservando dal livello fisico, tutto risulta un agglomerato senza significato di eventi accidentali e l’uomo erra straniero in un mondo alieno, mosso da leggi estranee che non comprende. Ponendosi dal livello universale, il mondo è un grande libro di simboli che mostrano gli attributi del Divino e manifestano il Suo Essere. Le realtà del piano fisico riflettono o rappresentano quelle del piano superiore. Il criptico ermetico recita: «Come sopra, così sotto».
L’uomo è fatto a somiglianza del Divino. I simboli sono la “via del ritorno”, un sentiero tracciato verso ciò che simboleggiano.
L’universo è uno specchio che riflette l’Essere. Così è l’uomo, il microcosmo, corrispondente al macrocosmo. Ancora più su, nel piano metafisico, l’attenzione va focalizzata sui simboli del Sé e il mondo non viene più studiato come un libro di simboli, ma scartato come una distrazione, un sogno, una apparenza. Bhagavan dice in Chi sono io?: «Come chi deve gettare dei rifiuti non ha bisogno di analizzarli e vedere cosa siano, così chi vuole conoscere il Sé non ha bisogno di conoscere il numero delle categorie o le loro caratteristiche; occorre rifiutare completamente tutte le categorie che nascondono il Sé. Il mondo andrebbe considerato come un sogno».
Quanti sono gli aspiranti che non si sono mai chiesti: «Perché sono stato creato? Perché sono attratto dal mondo ma mi viene detto di distaccarmene? E più di ogni altra cosa, perché esiste il mondo?». In ambito scientifico, nel mondo fisico, non esiste alcuna risposta a queste domande, ma anche se mai ci fossero sarebbero fuori da ogni possibilità scientifica e in ogni caso non potrebbero né confermare né negare quelle degli altri due piani, essendo di diversa natura.
Dal punto di vista universale, ad esempio, la Taittiriya Upanishad (11, VI, 1) sostiene che il Supremo “desiderava” creare per moltiplicarsi. «Avendo creato tutto questo, Egli vi entrò. Essendovi entrato Egli divenne insieme il manifesto e l’immanifesto, insieme il definito e l’indefinito, insieme il supportato e il non supportato, insieme l’intellegibile e l’inintellegibile, insieme il Reale e il non-reale. Satya (la Verità) divenne tutto questo, qualunque sia».
Questo non implica alcun panteismo, né probabilmente c’è mai stato. La definizione più soddisfacente probabilmente è: «un travisamento occidentale delle dottrine orientali». Il Supremo rimane assolutamente intonso né affetto dal suo manifestarsi nell’universo, così come un uomo nel rispecchiarsi in uno specchio.
L’Islam dà la stessa risposta alla domanda, consideriamo il famoso “hadith” in cui Allah afferma: «Ero un tesoro nascosto e desideravo essere conosciuto». L’uomo o l’universo è un libro in cui tutte le virtuali potenzialità del Divino sono state scritte precedentemente a grandi lettere. In precedenza non implica che questo sia avvenuto nel tempo. Il tempo esiste nel Divino, non il Divino nel tempo. Se diciamo che il Divino era immanifesto all’origine, “all’origine” non si riferisce ad una coordinata spazio temporale, ma allo stato originale, che è senza tempo ed eterno, adesso in esistenza, che non è mai non esistito, né mai non esisterà, immutevole e non affetto dalla simultanea manifestazione dell’Essere divino nell’universo e in ogni essere individuato.
La spiegazione metafisica è ancora su un piano più elevato, più semplice e più diretta. Se si chiedeva al Maharshi perché esisteva il mondo, rispondeva: «Chi dice che esiste il mondo?». Oppure: «Per chi esiste il mondo?». così il postulante veniva portato indietro direttamente alla Autoindagine. Questo io individuale vede un mondo fuori di sé, ma cosa è questo io individuale? Sicuramente la prima questione da risolvere è “Chi sono io?” prima di passare all’esame delle cose percepite. Chi sostiene che esiste un mondo? Lo sostiene l’io individuale, ma è quella la mia realtà? Prima occorre scoprire questo e poi vedere se si percepisce un mondo esteriore oppure no.
La questione “perché esiste il mondo” viene così accantonata poiché basata sul postulato non verificato che esiste un essere individuato il quale vede un mondo esterno a sé. La validità di questo postulato deve essere confermata o rifiutata con certezza prima di esaminare con una qualsiasi prospettiva una inferenza che si basi su di esso.
Possiamo così vedere che la percettività quale modalità fisica è inferiore al livello del simbolismo, mentre il piano metafisico è superiore. Mentre il simbolismo ha un immensa importanza nei percorsi spirituali meno diretti, non è invece necessario nel cammino dell’Autoconoscenza.
Arthur Osborne - Be still, it is the wind that sings
(Estratto) Traduzione a cura di Vidya Bharata