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Echammal

Di Ramana Maharshi sono noti i dialoghi che affascinano per la non dualità cui indirizzano attraverso l’indagine sull’io.

Non è pa­rimenti risaputo che i devoti e i discepoli che gli si sono raggruppati intorno, se durante la meditazione praticavano l’indagine sull’io, in altri momenti distribuivano le azioni fra la venerazione del Divino, anche nella figura del Maestro, e il servizio in favore del Maestro o dei suoi seguaci. È la continua, indefessa azione di questi Suoi figli spirituali ad avere costruito il Ramanasramam e ad averci lasciato una mole di detti, aneddoti, dialoghi e diari della sua vita.

Echammal è uno di questi discepoli, la sua vita è stata dedita al nutrimento del Maestro e di chi gli stava accanto.

Echammal è una figura di spicco fra i devoti di Sri Ramana, tutti rico­noscono la sua caratteristica andatura, quando sale fino alla caverna di Viru­paksa con gli involti del cibo che porta al suo Bramanaswami e a coloro che sono con lui, come fa ogni giorno, ininterrottamente dal 1907 al 1945. È an­che grazie al suo lavoro e a quello di altre come lei (Kerraipatti e Mudaliar­patti) che si sostiene il primo nucleo di sadhu formatosi ai piedi del Maestro.

Nasce come Subbu Lakshmi Ammal, ma tutti noi la conosciamo semplicemente come Echammal, e non è arrivata da chissà dove; lei era già qui, nata in un piccolo villaggio non lontano, a nemmeno trenta chilo­metri da Arunachala. Impiega solo un pò di tempo per comprendere che il suo destino è qui, proprio vicino a dove è nata! Inizialmente, va a vivere a Karedu, un villaggio nel provincia di Nellore, quando il marito vi viene trasferito. Nasce un primo figlio, ma muore poco dopo, poi nascono un maschietto e una femminuccia.

Una notte, Echammal sogna un giovane ragazzo, che le sembra un samnyasi, dalla testa rasata che guardandola negli occhi le mette qualcosa in mano e scompare. Quando cerca di informarsi presso un conoscente esperto in sogni, scopre che potrebbe trattarsi di Kumaraswami, la divi­nità tutelare della famiglia del marito. Lei capisce di avere ricevuto del prasadam (dono - prevalentemente cibo - benedetto, consacrato), ma non riesce a ricordare di che tipo di prasadam si tratta.

Quando il marito viene nuovamente trasferito, questa volta a Kan­dukuru, la stessa figura ricompare in un nuovo sogno e questa volta, in mano, le consegna una lettera scritta in sanscrito; nel sogno, quando Echammal gli dice di non essere in grado di leggerlo, lui le da l’indirizzo di chi consultare. È un pandit sanscrito del suo stesso villaggio, dove lei si reca subito a chiedere lumi sull’accaduto. Il pandit afferma che si è tratta del prasad di Subramanya (un particolare aspetto del Divino molto adorato in India) e così la inizia al mantra appropriato.

Echammal non ha ancora compiuto venticinque anni, quando im­provvisamente muoiono, uno dopo l’altro, il figlio, la figlia e il marito. Annichilita dalla tragedia, dopo i funerali, torna al paese natio con l’uni­ca figlia rimasta. Quando la figlia compie dieci anni, Echammal inizia i preparativi per le nozze (in India le nozze sono stabilite quando gli sposi sono ancora bambini, vengono poi consumate quando poi gli sposi sono in grado di procreare). Pochi giorni prima del matrimonio, la figlia viene colpita da una fortissima febbre e ancora, per la terza volta, lei sogna lo stesso giovane. Lui le dice: “Tre dei tuoi cari sono morti. Viswanatha ha chiesto di te. Vieni alla collina.” Qualche giorno dopo, la figlia muore.

Echammal è disperata, ha perso ogni supporto e si trova affranta dal dolore. Tuttociò che la circonda, il villaggio, la casa, finanche gli oggetti, le diviene insopportabile, ovunque volti gli occhi, là c’è un ricordo, lì un sorriso, qui la parola detta da uno dei suoi figli e un’ abbraccio del marito. Tutti gli sforzi dei parenti sono inutili, non c’è nulla che la consoli, tutto è vano nel suo terribile stato. Capisce che deve fare qualcosa per scuotersi, partire ad esempio, così ricevuto dal padre il permesso di andare in pel­legrinaggio, parte con l’idea di prestare servizio ai sadhu che vi vivono. Spera così di riuscire a lenire, almeno in parte, quel lancinante dolore che le strazia il cuore e colmare il deserto interiore che si trova a vivere.

Si trasferisce in riva al mare, a Gokarna, vicino a Bombay, dove inizia il servizio, dedicando le proprie azioni all’assistenza dei sadhu (praticanti che hanno dedicato tutto al cammino spirituale). Da un guru del nord dell’India, viene iniziata all’ashtanga yoga, ma tutto questo non basta ad estinguere la pena interiore; nessuno e nulla ci riescono. La sua agonia continua, senza requie; così, nel 1906 torna a casa, nelle stesse condizioni in cui è partita. Nonostante questo, Echammal ne è assolutamente convinta: l’unica via possibile, nella sua vita, è il servizio ai sadhu.

Dopo qualche tempo, le iniziano ad arrivare varie voci. Chi parla di un bramino, chi di un giovane sadhu molto particolare che vive ad Aru­nachala. Poi un parente fa il suo nome, è Brahmanaswami (il nome usato inizialmente per indicare Ramana Maharshi) ed ha circa venticinque anni. Dicono che abbia uno straordinario potere. Dicono che certamente riuscirà a placare il suo dolore. Le dicono anche che, nonostante il sadhu osservi il silenzio, le persone che gli stanno devotamente accanto ricevono grandi benefici. Dicono tante cose e tante altre cose le passano per la mente. I suoi pensieri iniziano ad essere agitati.

Alla fine, Echammal decide di partire. Ha dei parenti a Tiruvanna­malai, ma preferisce non disturbarli, non vuole vedere nessuno che le ricordi i suoi cari, teme che la loro vista ravvivi i ricordi e quindi stimoli ulteriormente il dolore bruciante che prova: lei non vuole ricordare!

La prima volta che va a cercare il sadhu, si fa accompagnare da un amico. Il sadhu vive su Arunachala, nella caverna di Virupaksha (dal nome del santo che dopo avervi vissuto, è stato seppellito nei pressi). Dopo la salita, arriva alla caverna e con stupore si accorge di essere proprio davanti a chi le è apparso ben tre volte, in quei sogni così significativi: è Brahmanaswami.

Finalmente è arrivata ai piedi del Maestro! Si siede in silenzio, nessuna parola esce dalle loro bocche. Gli occhi del sadhu sono la compassione incar­nata e lei li vede rifulgere di un amore infinito che a poco a poco, insieme al silenzio, l’avvolgono e iniziano a sprofondare dentro di lei e finalmente, per la prima volta dopo settimane, dopo mesi, dopo un’agonia infernale, il silenzio la riempie interiormente, mentre l’amore le lenisce le ferite. Prova sentimenti così forti che sente i piedi pesantissimi, come incolla­ti al suolo, non se ne vorrebbe andare più, ma capisce e sa che è opportuno tornare indietro. Una volta tornata, confida all’amico che quell’inesauribile pena che l’ha tormentata dalla morte dei suoi cari si è finalmente placata, adesso è in grado di pensarli senza soccombere al dolore.

Echammal si trasferisce a vivere a Tiruvannamalai, dove grazie all’aiuto del padre si compra una piccola casa e dove, grazie anche al contributo di un fratello, dedica l’intera sua vita al servizio di Ramana Maharshi e dei suoi devoti. Da questo momento è lei a provvedere al cibo che ogni giorno porta su fino alla caverna di Virupaksha e lungo i sentieri di Arunachala; sono tanti devoti in visita che usufruiscono della sua devota ospitalità; in ogni devoto vede il Maestro e li serve tutti come Lui stesso, con amore e abnegazione.

Poiché Sri Ramana non mangia nulla prima che anche gli altri ricevano il cibo portato da Echammal che è suddiviso equamente, e nutre tutti. Per molti devoti, l’abitazione di Echammal diviene un confortevole alloggio sempre disponibile. Lei non cade più in preda alla disperazione, quando ripensa al marito o ai figli, e nessuno sa veramente quanto sia stata grande la sua disperazione prima di arrivare ai piedi di Svami. Il Maestro le ha dato il prasadam della sua Grazia. Il Maestro è suo padre, è sua madre, è suo marito, è suo figlio, è sua figlia, è tutto e oltre tutto: è Dio.

Echammal non mangia se prima non porta il cibo a Svami, non ci riesce! Lo stomaco rifiuta anche solo la sensazione del cibo e la sua bocca non si apre, se prima non c’è la piena consapevolezza che Svami ha già mangiato. Lei si è dedicata interamente a questa missione, com’è lontano l’Occidente che griderebbe al plagio e com’è vicino l’Occidente di France­sco d’Assisi. Oggi, dopo così tanti anni, il cibo che Echammal porta non è che una piccola quantità di quello necessario per tutti quelli che mangiano all’asramam, non sarebbe nemmeno più necessario, ma lei continua il suo servizio e Svami non inizia mai a mangiare se prima Echammal non è arrivata. Sono anche queste piccolezze che lo rendono particolarmente caro al cuore dei suoi devoti. L’amore vincola molto più l’amato dell’amante; l’amante effluisce amore e l’amato se ne fa imprigionare.

È questo che si intuisce vedendo Echammal e il suo Svami; Svami che, nella nostra men­te, non facilmente riusciamo a far coincidere con colui che ci ha lasciato dei dialoghi di indirizzo metafisico puro e astratto, di indagine sull’inte­riorità dell’io, sul distacco al fenomenico, ma che scopriamo così attento a quelle piccolezze del fenomenico come le attenzioni ad una devota, al punto di far attendere tutti, sino al suo atteso arrivo, per mangiare. Forse, l’insegnamento di Sri Ramana necessita di queste integrazioni per poter iniziare a praticarlo... La responsabilità di nutrire un sadhu, un essere che si è dedicato a Dio e non viene nutrito se tu, con le tue mani non gli prepari il cibo e non glielo servi, può nascondere delle profondità da esplorare; ben più del mero esercizio dell’acquisto del proprio cibo o dell’elemosina in chiesa o al semaforo.

L’India di Echammal, della prima metà del XX secolo, non è l’India di oggi, non è nemmeno lontanamente confrontabile con l’Occidente di allora. Questa zona è impraticabile, piena di foreste e vegetazione, periodicamente sferzate dai monsoni; si vive per mesi e mesi inzuppati, senza un solo punto asciutto, con le vesti perennemente umide, quando ovviamente si possiedono delle vesti. È normale condividere i sentieri con i serpenti velenosi e l’incontro con un cobra reale che alterato apra il cappuccio può demoralizzare anche i più fiduciosi, poi essere attaccati da un grosso scorpione lungo oltre trenta centimetri non è piacevole... essere morsi invece dall’uno o dall’altro procura una dolorosa morte.

Considerato che le calzature sono un lusso, si può sospettare che la vita non è delle più facili: all’imbrunire gli scorpioni piccoli e grandi si muovono a centinaia sul suolo, quasi a formare un tappeto vivente. Echammal quando sale a recare il cibo, deve state attenta anche alle diverse scimmie che popolano le pendici di Arunachala, specialmente alle bertucce, le più dispettose e anche le più intraprendenti. Le più grosse le si avvicinano alle spalle e cercano con destrezza di portarle via il cibo se i loro sensi si accorgono della sua presenza. Per una ve­dova, questa vita non è delle più facili, ogni giorno dal villaggio alla foresta, sempre. Per questo, a poco a poco Echammal inizia ad essere amata da tutti, per questo capita di vedere la sera, all’imbrunire, lo stesso inavvicinabile Seshadrisvami scortarla fino a casa e, se non c’è lui, l’accompagna qualcun’altro.

Nonostante sia arrivata a vivere ogni evento della vita come manifestazione della volontà e della Grazia di Bhagavan, Echammal sente ancora forte il bisogno di maternità. Tutte le impressioni pas­sate non sono state risolte e, finito il momento del lungo dolore, esse riaffiorano e questa volta essa si rivolge a Svami.

In India, come nelle civiltà patriarcali, le figlie femmine sono con­siderate una sorta di disgrazia che necessita di molto denaro per essere “sanata”. Il lavoro delle donne non viene remunerato quanto quello degli uomini, né godono delle stesse libertà e opportunità. In più, sono spesso soggette a schiavitù in casa dei suoceri, ma cosa ancora più grave, sono considerate una vera e propria disgrazia nelle famiglie povere, costrette alla miseria e alla rovina per generazioni pur di assicurare alle figlie la dote necessaria per assicurarle un marito. Forse è in questa situazione che Echammal, provando un forte affetto per la nipote Chellammal figlia del fratello, chiede a Svami il permesso di adottarla.

Molti devoti sono grati a Chellammal perché è grazie a lei che oggi abbiamo alcune delle Sue più belle parole.

Ascoltiamo la voce di Bhagavan:

“Un giorno, ero appena uscito dallo Skandasram. A quei tempi Chellammal, Rajammal e gli altri venivano solitamente di Sabato e Domenica, quando non avevano la scuola. Venivano da soli, senza essere accompagnati. Quel giorno, incontrai Chellammal che aveva un pezzo di giornale o di carta in mano e che cantava di cuore, tutta presa, un canto dello Yoga Vasistha sull’apporto benefico del satsang (la frequentazione dei santi).

«L’imperfezione diviene perfezione, il pericolo [diviene] buona fortuna, il malaugurato [diviene] beneaugurato, grazie all’associazione con i santi.

«Per coloro che si sono bagnati nel Gange della frequenta­zione di anime così realizzate, homa (offerte nel fuoco rituale), yajna (sacrifici rituali), penitenze, offerte, abluzioni nei fiumi sacri, tutto questo non è necessario.

«Cerca con ogni mezzo la compagnia del buono, del sag­gio, di colui che è la nave che attraversa l’oceano delle nascite e delle morti.»

Mi accorsi che la ragazza era molto interessata a questo argo­mento, così composi tre canzoni sul satsang che non sono altro che la traduzione di quei versi dal sanscrito - con cui a quel tempo avevo una certa familiarità poiché mi venivano spesso recitati dai vari devoti che venivano a trovarmi. Allora non sapevo se qualcuna di quelle canzoni fosse stata tradotta in Tamil. Fu solo dopo alcuni anni, che Rajammal offrendoci una lettura sul satsang citò una stanza in Tamil che era proprio la traduzione di quelle tre.”

Passa il tempo e arriva il momento per Echammal di organizzare il matrimonio di Chellammal, così dopo qualche tempo le nasce un nipotino che affida alla protezione del nome del Maestro: si chiama Ramana!

È il 1922 e il dramma sembra ricominciare, arriva un telegramma del genero che annuncia la morte improvvisa della moglie.

Chellammal è morta.

Gli echi dell’antico dolore si risvegliano in un lampo improvviso, come non fossero mai scomparsi, come se siano rimasti là, celati in attesa di risveglio. La macina della vita ha ripreso a girare, portandosi via ogni rimanente affetto familiare!

Ogni desiderio in questa direzione è stato brutalmente reciso, ogni aspettativa infranta. Ma questa volta ha un rifugio, come mai prima: corre subito ai piedi di Bhagavan, dove piangente offre il seme del suo dolore, quel telegramma dalla carta stropicciata e grigia, umida di lacrime. Gli occhi del Maestro si colmano anch’essi di lacrime, il dolore viene condiviso e la commozione del saggio è come se lenisse le nuove ferite nell’animo della povera donna.

Echammal lascia Tiruvannamalai e si reca ai funerali della figlia. Al ri­torno, reca con sé il nipote, Ramana, ultimo ricordo della figlia tanto voluta.

Appena arrivata, porta subito l’infante da Sri Ramana e lo pone nel grembo del Maestro. È l’unico posto al mondo dove nulla può colpire il neonato. Dentro di sé, sa che è l’unica speranza affinché il bambino possa avere un lungo futuro. È il frutto dei suoi desideri di maternità, in qualche modo sente che l’unica maniera affinché la sua vita non si spenga in giovane età come gli altri è che lei rinunci a lui. Definiti­vamente. A tutto. Così, lo consacra interamente a Svami, prendendo definitivamente rifugio ai suoi piedi, lei e il bambino. Ancora una volta Svami si commuove e i suoi occhi piangono per il profondo dolore della madre che ha seppellito quattro figli senza che gliene sia rimasto alcuno. Dai ricordi di Sri Ramana:

“Chellammal veniva spesso da me quando era ancora una sco­lara. Anche dopo, mi pensava sempre: in ogni lettera che spediva, parlava di me all’inizio e alla fine. È morta dopo aver dato alla luce Ramana. Il ragazzo oggi vive a Bombay, è stato portato lì. Non appena vidi il bambino, pensando a sua madre, piansi per lei, non l’avevo potuta aiutare!”

A distanza di anni, Sri Ramana, quando parla di Chellammal, si commuove. Qualcuno, forse, avrebbe da ridire che uno Jnani, colui che ha raggiunto la più alta delle conoscenze, si lasci coinvolgere nelle pene di una vedova e di un orfano, quando ha da tempo rinunciato alla famiglia e dovrebbe aver maturato il più grande dei distacchi; ma questa è la posi­zione di chi non comprende che la vera realizzazione advaita è oltre ogni dualità e comprende ogni cosa, anche il fenomenico impermanente che è una sua emanazione.

Essendo rimasto per tenere alta su Arunachala la fiaccola della co­noscenza, sarebbe ben strano che Sri Ramana non abbia avuto, oltre al corpo e ai sensi, anche un cuore e una sensibilità per comprendere le pene nel manifesto che opprimono l’uomo comune, Come, altrimenti, avrebbe potuto aiutare a trascenderle, se egli ne fosse stato immune al punto da ignorarne l’esistenza per insensibilità?

L’intuizione di Echammal sul destino del nipote, si avvera nel 1931, nel giorno di Kartika. Venkataraman (K.V. Mama è il nome con cui lo chiamano i residenti dell’ashram) ha undici anni e vive con la nonna.

Quel giorno Echammal è impegnata con le cerimonie di commemo­razione del marito defunto, così il bambino ottiene il permesso di andare alle cerimonie del tempio di Tiruvannamalai. Prima di entrare nel Sancta Sanctorum del tempio, Mama decide di fare il bagno. Così, scende len­tamente i gradini della grande vasca Shiva Ganga ed entra in acqua con grande cura, dato che non sa nuotare. Nonostante tutte le attenzioni, scivola e cade nell’acqua profonda. Agitandosi, faticosamente riesce ad emergere in superficie diverse volte, galleggiare per qualche istante, urlando per chiedere aiuto, ma nessuno raccoglie le richieste di soccorso. Dopo il terzo tentativo, va giù senza più risalire, nella parte più profonda della vasca. Non ha più alcuna speranza di sopravvivere. All’improvviso appare nella sua mente una luce vivace e al centro brilla il volto di Bhagavan. È come un flash, che scompare subito. Dopo un poco, sente qualcosa afferrargli le caviglie ed ecco che ha un altro flash, esattamente come quello precedente e della stessa intensità. Da quel momento perde completamente coscienza.

Quando si riprende è come svegliarsi da un sonno profondo e si ritrova sui gradini della vasca. Si guarda intorno lentamente, quasi ad assicurarsi di essere veramente lì, fuori dall’acqua, sano e salvo. Alza gli occhi e chiede a chi gli sta intorno come ha fatto ad arrivare lì. Chi lo ha salvato?

Fra le tante voci che si sovrappongono, capisce che hanno visto un uomo anziano che stava facendo il pradakshina del Kambathu Ilayanar, all’improvviso balzare verso la vasca, correre giù lungo i gradini e tuffarsi. Poi lo hanno visto uscire dall’acqua con lui fra le braccia, lo ha sdraiato sui gradini, sparendo rapidamente fra la folla, così come era comparso.

Venkataraman si è ripreso, si alza e va alla sua pujia. Poi torna rapidamente a casa, ma senza dire una sola parola alla nonna di quello che è successo. La mattina successiva, entrambi si recano come al solito all’asramam. Appena arrivati, vanno a prostrarsi davanti a Bhagavan, lui li guarda e chiede quanto fosse profonda la vasca Shiva Ganga. Al ragazzo sfugge l’importanza della domanda e corre via dalla sala silenziosamente. È solo in seguito, lungo l’arco della sua vita, che realizza il significato di quelle parole: il suo salvatore non era altri che lo stesso Bhagavan.

Svami è intervenuto ad evitare un ulteriore dramma alla sua Echammal.

Nel ciclo delle nascite e delle morti, secondo alcuni, per uno Jnani non dovrebbe essere particolarmente importante la singola vita, ma l’abbandono di Echammal ai piedi del Maestro, le ha evitato l’ennesimo lutto. La riluttanza di Sri Ramana per la ribalta, la volontà di non sfoggiare il potere della sua realizzazione metafisica nel feno­menico, ha fatto passare in sordina questo evento nel suo tempo; è affiorato solo dopo anni, quando non avrebbe più suscitato clamore.

Echammal, nella lunga vicinanza (38 anni) al suo Brahmanaswami, ha modo di ricevere l’istruzione diretta (upadesha) dal Maestro, colui che è un perfetto Conoscitore del Reale. A Gokarna, Echammal riceve l’iniziazione (diksha) attraverso lo yoga, così pratica la concentrazione sul naso e medita sulla luce brillante che vede lì. Sono molte le ore che spende in questa pratica e ancor più quelle che passa immobile, in estasi a causa della meditazione su questa luce, dimentica del corpo.

Una volta, il suo padrone di casa, la trova in questo stato e, convinto che sia morta, corre da Svami per informarlo. Svami ascolta e rimane tranquillo. Più tardi, è Echammal stessa a raccontarGli come pratica lo yoga.

Svami le dice, con dolcezza: “La luce che brilla è una visione, non è l’atma che vorresti realizzare. Non perdere tempo dietro cose irrilevanti!”

Quasi li riusciamo a vedere e, anche se hanno la stessa età, vediamo un anziano nonno dai capelli bianchi che prende la mano dell’eterna bambina e dolcemente la allontana dalla via dello yoga e indirizzarla alla Ricerca del Sé. Ci si aspetterebbe che un ricercatore devoto segua subito l’ingiun­zione di Svami, invece Echammal non fa così. Il suo amore per il guru e la certezza nella sua grandezza sono così forti da spingerla a non ascoltarlo e a proseguire la sua pratica yoga, tanto, secondo lei, la sua realizzazione è affidata e sicura nelle capaci mani del suo Brahmaswami.

Nella memoria dei devoti, sono diversi i castoni che racchiudono insieme Svami ed Echammal, tanti castoni a formare una collana della memoria, da prendere e guardare alla bisogna.

Un giorno, Echammal sale la collina portando il pasto per Svami, quando un forte acquazzone inizia a trasformare il sentiero e tutto intorno in un pantano di fango. Correndo, raggiunge una sporgenza dove trova riparo. I suoi occhi cercano Svami e lo scorgono poco lontano. Con stu­pore, si accorge che intorno a lui è asciutto, mentre tutto il resto continua ad inzupparsi sotto una pioggia sempre più forte!

Un giorno, Svami ha in visita alla caverna di Virupaksha, un pandit proveniente dal Nord dell’India venuto a chiedere alcune delucidazioni sulla dottrina, quando vedono arrivare Echammal con il suo involto, come ogni giorno, solo che la donna è visibilmente scossa e agitata. Quando le chiedono cosa sia successo, Echammal, tremante, risponde: “Sono pas­sata davanti alla caverna di Sadgurusvami e lì, lungo il sentiero, ho visto Svami in piedi con un forestiero. Non mi sono fermata e ho proseguito per venire qui. Allora ho sentito una voce che mi ha detto: ‘Perché continui a salire se sono qui?’ Mi sono girata di scatto, ma non c’era più nessuno! Ho avuto tanta paura! Non so nemmeno come ho fatto ad arrivare sino a qua.” Allora lo studioso esclama: “Svami, ma come! State parlando con me e apparite a questa signora da un’altra parte, mentre a me, non mostrate nemmeno un briciolo di questa grazia!” Svami risponde semplicemente che poiché Echammal è continuamente concentrata su di lui, lo vede ovunque. Si sa che i devoti che meditano intensamente sull’aspetto del Divino prescelto o sul Maestro, giungono ad averne la visione, ma solitamente avviene perché quella figura diventa il tramite che li aiuta ad esplorare la via di avvicinamento al Principio. Non è così consueto, invece, che l’amore per il Maestro sia un canale così stabile e solido da ricevere anche la visione della scena cui il Maestro stesso sta partecipando.

La devozione di Echammal è così grande da non lasciarsi limi­tare dai contorni fisici del corpo del Maestro ma da investire tutto ciò che lo riflette e richiama, anche la santità di altri sadhu. Vediamo come anche Seshadrisvami sia così compiaciuto dalla sua bontà e della sua devozione, lui, che non permette a nessuno di avvicinarlo, né va mai da qualcuno, è normalmente ospite a casa di Echammal e l’accom­pagna fino a casa tutte le volte che torna dall’asramam, se si è fatto buio.

Un giorno, a casa di Echammal, un pandit sta salmodiando e spiegan­do un purana, quando arriva in visita Seshadrisvami. Il pandit, vedendolo, dice di lui con disprezzo: “Persone di questo genere non raggiungeranno la Conoscenza nemmeno in mille vite!” Echammal viene ferita da queste parole e mentre pensa che non sarebbe male se Seshadrisvami desse una lezione all’orgoglio del pandit, ecco che Seshadrisvami inizia a parlare e, senza l’aiuto di alcun testo, per oltre un’ora, tiene una conferenza che con­quista e affascina tutti i presenti per la maestria e la profonda conoscenza.

Un giorno, Echammal sta officiando la sua puja, quando arriva Seshadrisvami che vedendola così intenta alla celebrazione, le chiede cosa stia facendo. Lei risponde che sta venerando le immagini di Seshadrisvami e Ramana. Lui allora le chiede perché invece non impiega quel tempo meditando. Echammal già conosce le pratiche di meditazione, ma per farsi spiegare quelle usate da Seshadrisvami, gli chiede come meditare.

Immediatamente, Seshadrisvami si siede in padmasana (posizione del loto, usata in meditazione perché molto stabile anche in mancanza di coscienza corporea) e le mostra come meditare. Entra anche in samadhi (contemplazione) e vi rimane per oltre quattro ore; alla fine quando esce dal samadhi le chiede: “Hai preso nota di tutto?” e se ne va. Solo chi conosce quanto Seshadrisvami sia riservato e restio al contatto con gli altri può desumere quanto debba essere puro l’animo di Echammal.

Un giorno, Echammal sta andando alla caverna, da Svami, quando vede, in cima ad un albero, un corvo ghermire un piccolo pappagallo, che però sfugge e cade giù. Impietosita lo raccoglie e lo porta a Svami. Il pappagallo muore qualche giorno dopo, nonostante le affettuose cure di Svami che provvede a seppellirlo. Sri Ramana per l’occasione afferma che lì sorgerà un edificio. L’edificio è stato costruito e la caverna vicina viene chiamata Kiliguha (caverna del pappagallo).

L’offerta del cibo al Divino e ai suoi aspetti è una pratica in uso presso molti culti orientali e occidentali; in Asia la noce di cocco, considerata in­sieme cibo e bevanda, è un cibo ricco, che può essere portato in viaggio e utilizzato secondo le necessità, senza deperire. Per questo motivo, in India è considerato molto propizio offrirla al Divino, spezzandola.

Un giorno, Echammal è seduta vicino a Svami, intenta a ripuli­re con difficoltà una noce di cocco dalle fibre della scorza esterna in modo da poterla spezzare per offrirla. Quando Svami le chiede cosa stia facendo, lei risponde: “Oggi è Vijayadasami e ho pensato che sia bene spezzare una noce di cocco davanti a Svami!” Allora Svami le prende la noce dalle mani e, dopo averla ripulita con grande attenzione, la rompe davanti a sé, mentre Echammal disarmata si guarda la scena, insieme attonita ed estasiata. Questo avvenimento, accaduto grazie a Echammal, è un dono che ci aiuta a riflettere su cosa sia il vero distacco.

Un giorno, alla caverna di Virupaksha, Svami è solo, intento a costrui­re un piccolo muro, quando arriva un visitatore sconosciuto che vedendolo impegnato nel lavoro, crede che sia un operaio e gli chiede dove sia lo Svami. Ramana risponde: “È via!” Il visitatore rimane lì ad aspettare, aspettando che ritorni e, dopo un po’, non vedendo arrivare nessuno, se ne va. La stessa persona ritorna dopo un paio di giorni e vedendo solo Rama­na, si siede e aspetta che arrivi questo fantomatico Svami. Vedendo che anche questa volta l’attesa è vana, dopo un po’ si alza e se ne va.

Mentre sta scendendo da Arunachala, incontra Echammal che porta con sé l’involto con il mangiare per Svami. La donna, colpita da quella faccia avvilita, gli si appressa con fare gentile; allora il visitatore le chiede se per caso sa quando tornerà lo Svami. Echammal sorpresa gli chiede: “Come! Non l’ha incontrato?” Il visitatore: “No, non c’era nemmeno oggi!” Echammal: “Mi segua!” Arrivati su, la donna indica allo stupefatto visitatore che quello che aveva creduto un muratore non è altri che Svami! In seguito, quando Echammal chiede se era stato proprio il caso di confondere il visitatore, Ramana prontamente risponde: “Vorresti forse che vada in giro con una campana appesa al collo e annunci ‘Io sono Svami’, oppure preferisci che l’etichetta con scritto ‘Io sono Svami!’ la attacchi sulla fronte?”

Un giorno, ad una persona che le vanta i propri poteri e che le chiede: “Io ho il potere di ottenere tutto quello che voglio! Che poteri ha il tuo Sva­mi?” Echammal risponde: “Tu hai i desideri, Svami non ha desideri!”

Il 27 dicembre 1945, dopo tre giorni di malattia, Echammal è ormai in stato di incoscienza da due giorni. Sri Ramana dice: “Era solita stare così, come oggi. Le piace stare così, ad occhi chiusi.”

Echammal viene assorbita in Arunachala il 28 dicembre 1945 alle 2,30 del mattino, dopo due giorni di samadhi, interrottosi solo per un istante quando le viene chiesto: “Svami ha mangiato?” L’annuncio della morte di Echammal viene dato alle 8,00 del mattino, nella sala. Il suo corpo viene cremato e le ossa seppellite al villaggio nativo.

Sri Ramana: “Le avevo detto di smetterla con lo yoga, non mi ha voluto ascoltare, per questo motivo è morta incosciente, invece di morire nella piena consapevolezza.”

Il suo amato nipote le sopravvive per quasi cinquant’anni. K. Venkata­raman, conosciuto da tutti come K.V. Mama, viene assorbito in Arunachala nel 1994.

Bibliografia

- Giorno per giorno con Bhagavan, di A. Devaraja Mudaliar

- Glossario Sanscrito, di Gruppo Kevala

- Guru Ramana, memorie e note, di S.S. Cohen

- Ramana Maharshi e la sua Filosofia dellʼEssere, di T.M.P. Mahadevan

- Ramana Maharshi e il Cammino di Autoconoscenza, di Arthur Osborne

- Arunachala di Ramana, Oceano di Grazia Divina, di Alcuni devoti

- Ramana Smrti, Offerta per il Centenario della nascita, Ramanasram

- Il Gioco di Sri Ramana, di Sri Krishna Bhikshu

ASSOCIAZIONE ITALIANA RAMANA MAHARSHI

Quaderno n° 12 - 8 Settembre 2006