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Sulla Meditazione

D - Mi capita durante il giorno di avere delle sensazioni di vuoto, un vuoto che devo assolutamente riempire e che cerco di colmare col cibo in maniera spropositata o con altri metodi. Da cosa può dipendere?

R - Quel vuoto è una percezione/intuizione dell'io che riporti a livello conscio durante la veglia.

D - Scusa, ma non capisco.

R - Dovrebbe essere semplice paura, evidentemente la meditazione ti ha portato sulla soglia del vuoto e la percezione di tale soglia si proietta anche nel quotidiano.

D - Cosa intendi come vuoto? Forse quel vuoto che si inizia a percepire in certe meditazioni in cui si ha l'impressione di cadere indietro, in un vuoto appunto? Quando arrivo a questo punto, purtroppo mi piglia la paura all´ultimo momento e non faccio nessun salto. C'è un collegamento?

R - Lo stato naturale dell'ente è quello che chiamano Sé o atman. E' il puro essere o pura realtà. Mettiamo da parte in questa discussione che la Pura Realtà o Essere è identica a Quello, il Brahman o Realtà Assoluta. Lo stato naturale dell'essere, quindi la Pura Realtà viene offuscata dal movimento (adesione alle azioni, pensieri, riflessioni, etc. etc.) che alcuni chiamano maya e la cui adesione ad esso viene chiamata avidya.

La meditazione dovrebbe consistere nel "giacere" in tale stato di Pura Realtà.

In realtà viene chiamato meditazione il tentativo di raggiungere tale stato. In pratica esso consiste in esercizi di concentrazione, prima su un simbolo (con seme), e, raggiunta la capacità di concentrarsi, senza alcun seme. Molti credono che occorra concentrarsi sul seme per eliminare ogni altro pensiero/contenuto. La meditazione sul seme serve ad acquisire le capacità di concentrazione. Acquisite queste, la pratica senza seme serve a rimanere "fissi" in una posizione non partecipante, non giudicante (il tutto a livello mentale).

Tutto è come è, ne segue che non si può eliminare un qualcosa di esistente su questi piani di esistenza (non si parla di illusione, ma di gradi di realtà). Un pensiero nel suo sistema di coordinate (emotive e mentali) esiste e ciò che esiste non può non essere. Non è in senso assoluto, ma in senso relativo è. Un pensiero è un movimento energetico, ha un suo spessore, una sua massa energetica, quindi per quanto possa essere apparente, esso all'interno del suo sistema di riferimento, esiste. L'energia su questi piani può trasformarsi come forma, non cessare di esistere.

Dato che la pura realtà si manifesta al cessare del movimento, occorre che il pensiero (auto indotto) cessi. Per fare questo occorre che si esaurisca l'energia che lo sostiene, ossia occorre smettere di alimentarlo. Una pratica meditativa prima permette di raggiungere la concentrazione per iniziare questo processo (meditazione con seme), poi serve a smettere di alimentare i pensieri (meditazione senza seme). Durante le due fasi (meditazione con seme) e (meditazione senza seme), avviene che alcuni pensieri o contenuti (la differenza è nell'energia che sostiene il pensiero, un pensiero molto radicato è una vasana o contenuto e si trasforma in un seme causale) si mostrino più forti e di disturbo perché non più velati dagli altri.

Man mano che si esauriscono i pensieri non più alimentati, iniziano a comparire, a mostrarsi quelli che sono stati relegati nel subconscio, sino a quelli che sono nell'inconscio. (Definendo subconscio: l'area ove sono i pensieri che vi abbiamo nascosto, e inconscio: l'area dove sono i pensieri morali che abbiamo acquisito inconsapevolmente. Di solito ad un realizzato mancano queste due aree e tutti gli eventuali pensieri sono consci, ossia ne è consapevole).

Uno dei pensieri più forti è l'ahamvritti ossia il senso dell'io, la cui risoluzione porta a quello stato che alcune scuole buddiste chiamano vuoto e che erroneamente identificano col nirvana. Anche alcuni aspiranti advaitin ritengono questo sia lo stato finale. Siccome tale stato all'io che si basa sull'ahamvritti, sembra essere la sua stessa negazione, perché si approssima alla perdita della soggettività personale, esso si ritrae con paura di fronte a tale evento che si puo' presentare con diverse forme (senso di caduta, di vuoto, di gorgo, di spirale, etc. etc.).

Tale stato può presentarsi anche se non si è proprio su tale soglia, quando si eseguono tecniche non idonee, tecniche che cioè non prevedono una risoluzione completa dei contenuti. Da qui la convinzione che la realizzazione yogica coincida con l'abbandono del corpo fisico. Infatti al più accadeva che si raggiungeva il vuoto senza che fossero stati esauriti i contenuti.

Pur rimanendo dei semi causali, le tecniche yogiche possono "frangere" alcuni legami fra i vari involucri corporei, determinando la dissoluzione del corpo. Per questo sono pochi i jivanmukta fra coloro che seguono la via dello yoga. E' altresì vero che poiché difficilmente lo yoga prevede la permanenza in vita, molti raggiungono la moksha al momento del mahasamadhi (morte del corpo). Fatta questa necessaria premessa, quanto affiora nella meditazione è normale che si presenti e condizioni anche il quotidiano.

Il senso di vuoto che hai provato è normalissimo ed è altrettanto normale che un io che ancora ha dei contenuti da vivere (esperienze da fare) ne abbia ritrosia e che la paura conseguente cerca di essere placata in altra maniera... quindi si cerca di riempire il vuoto con la vita (piacere sensuale, alimentare, mentale, etc. etc.). Nel tuo caso, forse potresti o modificare tecnica di meditazione o portare la meditazione da una fase delimitata nello spazio tempo (asana e orari) ad una continua osservazione. Dato che ormai hai acquisito le capacità di concentrazione, potrebbe essere opportuno di iniziare ad applicarle nella meditazione continuata.

D - Intendi la continua osservazione di me stessa anche mentre compio le quotidiane faccende? Gia´lo faccio, e sicuramente è un aiuto.

R - Bene.

D - Quale tecnica di meditazione mi consigli?

R - Nessuna. Una volta acquisita la capacità di concentrarsi, è opportuno iniziare a vivere in consapevolezza: essere presenti a se stessi sempre. Questa è la meditazione o meglio, questo significa essere se stessi.

In ogni istante bisogna essere presenti, ossia non pensare al passato o al futuro (tranne dove queste valutazioni siano parte dell'azione che si compie: progettazione, studio storico, educazione, etc. etc.), senza aderire alle azioni, lasciandone i frutti a chi li voglia cogliere (karma yoga). Oppure vedendo come tutto espressione del Divino e quindi non appartenente a noi (bhakti yoga) oppure come espressione del movimento che discriminiamo nel distacco (jnana yoga).

Quando si giunge alla consapevolezza che l'ente è la Pura Realtà che si manifesta su diversi piani che sostiene Esso stesso, allora c'è  il cammino senza sostegni, ossia cade ogni relazione con maya (pur assistendovi, pur vedendola (Asparsa Yoga), ossia l'ente colta la propria Pura Realtà si riconosce come Realtà Assoluta o Brahman. Non c'è una azione o un insieme di azioni che ci possa condurre alla realizzazione, per il semplice fatto che noi siamo già ciò che siamo, quindi qualsiasi azione può solo allontanarci dalla nostra natura di Pura Realtà.

Newsletter N. 5 - Luglio-Agosto  2002 Vidya Bharata

Il dialogo è stato tratto e adattato dalla Mailing List Vedanta