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Arunachala 2006/07

28-29 dicembre Il mio primo volo intercontinentale in assolo, compreso scalo intermedio, è andato bene, temevo problemi causa linguaggio, invece i ragazzi della Lufthansa sono stati cortesissimi.

Sbarcato a Chennai, ho seguito il flusso dei tanti indiani che erano in viaggio con me fino ad arrivare all’ufficio immigrati (eh si, sono un immigrato), e già lungo i corridoi che mi ci portavano ho avuto la sensazione di un ritorno a casa: l’odore dell’India, i colori…Recuperato il bagaglio, mi sono diretto all’uscita, e la prima persona vista è proprio Navyo, che mi accoglie con un gran sorriso e un “Benvenuto!”, poi apre un astuccio e ne toglie una gran collana fatta di ciclamini ed altri fiori e me la mette al collo.

Sono quasi le due di notte e per arrivare a Tiruvanmalai ci sono altre tre ore di macchina, quindi partiamo subito.Usciti dall’autostrada ci infiliamo in una foresta di tamarindi secolari, attraversiamo alcuni villaggi e poi questi alberi stupendi ci accompagnano sui lati della strada fino alla meta odierna.

A casa, Navyo prepara un buon caffè e, visto che manca poco, decidiamo di aspettare l’alba sul terrazzo, osservando nel frattempo una miriade di stelle che lentamente svaniscono, ed ascoltando (obbligati) la musica che i templi Tamil sparano a mille attraverso gli altoparlanti.Più aumenta la luce più prende forma e vita il paesaggio: risaie, piccoli boschi, il paese e, a nord, Arunachala, la montagna sacra, 800 metri di altezza, fatta di pietra primaria ricoperta da poca vegetazione; avrò occasione di scoprirla da vicino. Giornata parzialmente dedicata al riposo.

In albergo, dopo una bella doccia, mi sono sdraiato ed ho dormito fino alle 16. Ho raggiunto la casa di Navyo a piedi e, durante il tragitto, ho avuto l’impressione di tornare indietro nel tempo: a lato di una casetta una ragazzina lavava i panni sulla pietra; appena più avanti una donna filava, con una macchina a pedale, del tessuto, aiutata da due bimbe che lo raccoglievano in grossi gomitoli; per strada tanti tanti bambini, tutti stupendi.

Con Navyo siamo poi andati all’ashram di Ramana. Molto semplice e bello, è da rivedere in pieno giorno, siamo verso sera e c’è poca luce. Mentre Navyo si è seduto ad ascoltare i canti serali dei Tamil (molto dolci, non come quelli di stamattina), io ho girato un po’ all’interno e, al termine, mi ha proposto di mangiare lì, nella loro mensa, seduti per terra e usando solo le mani.Davanti a noi un bicchiere d’acqua e un piatto fatto di foglie intrecciate. Ci hanno portato del riso, delle patate lesse miste a una salsa e altri miscugli speziati.

Dopo la cena siamo rientrati nel samadhi, dove si teneva un concerto con uno stranissimo strumento i cui suoni ricordano molto quelli del violino, pur se più profondi e vibranti. Praticamente è un pezzo di legno (senza cassa di risonanza) con quattro corde suonate ad arco nella parte bassa; il vero lavoro lo svolgono e dita dell’altra mano.Infine, mentre Navyo si recava in centro città, mi sono seduto in un chiosco davanti all’ashram insieme a due italiane conosciute poco prima per bere un caffè (latte e acqua bolliti con un cucchiaino di nescafè) e fumare una sigaretta, dopo di che ho chiamato un riksciò e mi sono fatto accompagnare in albergo. Domani comincerò a scoprire Arunachala. 

30.12 -Prima di partire per l’ashram ho parlato un po’ con Navyo, raccontandogli a grandi linee la storia del mio cammino, con le crisi, le gioie e l’apatia che a volte ne conseguono. Dolce, ma deciso, mi ha detto che di momenti simili ce ne saranno ancora parecchi, perché il cammino è fatto così, l’importante è accettarli senza dar loro forza, dicendomi “io non sono ciò che mi succede, io sono l’osservatore”.Quando gli ho fatto notare che Kalika mi ha detto sostanzialmente la medesima cosa, la sua reazione è stata: “Beh, sai, la fonte è una sola, posso usare parole diverse da lei, ma il significato sarà sempre quello”. 

All’ashram incontriamo altre tre persone che faranno la settimana di lavoro con noi e, dopo una breve presentazione, andiamo al samadhi di un altro illuminato. Un’ora di silenzio cercando di seguire il respiro e liberare la mente, poi si vaga da soli dentro l’ashram, fermandosi dove si sente di doverlo fare e ripetendosi la frase che Navyo mi aveva detto al mattino. Nel pomeriggio, dopo una doccia ristoratrice (siamo in primavera, ma ci sono almeno trenta gradi e l’umidità è forte), verso le 17 ci rechiamo al darshan di Sivasakthi, una donna illuminata. Entra, avvolta quasi completamente in un sari arancione scuro, saluta tutti con il gesto del namastè e si siede.

Lentamente, molto lentamente, il suo sguardo si posa su tutti i presenti; ha occhi scuri e sottili, ma incredibilmente penetranti, emanano energia pura. La chiamano “la silente”, perché ogni suo darshan è nel silenzio più totale, ed in effetti non ha alcun bisogno di parlare.Dopo alcuni minuti mi ritrovo con la vista offuscata; provo a focalizzare, ma mi costa sforzo, fatica, quindi decido di essere il più naturale possibile e mi appare la sua aura.Intorno al suo corpo (e anche alla sua sedia) c’è una luce bianchissima, un bianco ultraterreno, alto pochi centimetri e che poi verso l’esterno va a svanire, l’avvolge completamente. Mentre continuo ad osservarla mi si aprono le braccia e vengo invaso dall’energia. Non so l’aspetto esterno del mio viso, ma dentro sto davvero sorridendo.Poi se ne va, così come era arrivata, con una camminata lentissima; sembra quasi scivolare sul pavimento. 

Dopo il darshan, Navyo ci porta su Arunachala. Saliamo un sentiero e ci fermiamo in uno spazio roccioso da dove osserviamo il sole dolcemente scendere all’orizzonte, colorando di rosso e di arancio il cielo e le acque di un lago che si nota in lontananza. Intorno a me il silenzio, il verde della rada vegetazione ed il rosso ferreo delle rocce di Arunachala. Al ritorno passiamo ancora dall’ashram e poi andiamo a cena a casa di Navyo. Siamo in quattro, ci sono anche Rita Puri e Lucie. Al termine saliamo sul terrazzo e, alla luce delle stelle e della luna quasi piena, condividiamo le esperienze vissute. Davanti a noi Arunachala, la montagna di fuoco e di luce, il fuoco che brucia l’ego e la luce che illumina.  

31.12 -Domenica, giorno di festa. In una casa poco distante da dove abita Navyo, alcuni musicisti (tutti stranieri) organizzano un concerto e noi vi andiamo. Per due ore seguiamo la bella musica accompagnandola con dei mantra, intervallati da canzoni dedicate a Ramana, Osho e altri. A parte la scomodità del posto, troppo piccolo per le tante persone presenti, è stato davvero gradevole.Nel pomeriggio nuovo darshan con Sivasakthi, poi tutto ruota intorno alla preparazione della Pradakshina, la camminata intorno al monte che faremo la sera. Alle nove ci ritroviamo davanti all’ashram; siamo in nove, otto italiani e una ragazza ucraina. Alle 9 e15 si parte.Il primo chilometro lo percorriamo sulla statale, trafficatissima, poi entriamo in una via laterale e tutto è diverso: strada ampia, svariate persone, ma praticamente nessun mezzo. Facciamo la prima metà del percorso cantando mantra (Navyo ha portato un lettore CD), suonando cimbalini e fermandosi ad ogni tempio, anche il più piccolo, ad accendere un pezzo di canfora, poi ci fermiamo per una pausa e prendiamo un caffè presso un chai shop.

Riprendiamo il cammino e, poco prima di giungere al tempio della rinascita, scocca la mezzanotte. Partono, in lontananza, dei fuochi d’artificio, noi tiriamo fuori il panettone, offrendone dei pezzi ai passanti (tutta povera gente) che lo mangiano stupiti, ma con gusto, e ci augurano di cuore “Happy new year!”.Anche noi abbiamo i fuochi. Cinque fontane luminose che attirano i bambini della zona; forse non hanno mai visto cose simili, almeno non così da vicino.Ripartiamo e, al tempio della rinascita, eseguiamo la prova: entriamo dal lato posteriore di una roccia forata, lasciando alle spalle il vecchio, ed usciamo dall’altro lato, verso il nuovo. Non è facile, il cunicolo è molto stretto e, se non ti metti di traverso, non passi.Affrontiamo quindi l’ultima parte del giro, lasciando lentamente la pace ed entrando nella città di Tiruvanmalai.Ultima tappa al tempio principale, che dobbiamo poi aggirare per rientrare sula strada che ci conduce verso l’ashram. È una costruzione maestosa che risale al ‘500: cinque torri, di cui una gigantesca, incredibilmente e magnificamente lavorate, e una lunghezza totale di quasi 800 metri. Ormai è fatta, stiamo per arrivare.

Tra due giorni rifaremo il giro della Pradakshina con la luna piena, ci sarà una festa. Vedremo cosa ci aspetta. A ogni modo sono stanco fisicamente (oggi ho fatto 20-25 km a piedi), ma ho una carica energetica tremenda. 1.1Giornata libera per meritato riposo.Verso le dieci sono partito a piedi per l’ashram e i suoi dintorni, senza trovare quel che cercavo (negozi di abiti), ho mangiato un boccone in un ristorante cavandomela con 23 rupie (40 centesimi di euro), poi sono tornato in albergo.Nel pomeriggio mi sono successe due cose degne di nota. La prima è che nel tentativo di trovare alcuni negozi indicatimi da Navyo mi sono perso nei sobborghi e ho impiegato più di un’ora per ritrovare la via. Casualmente (o forse no), sono infine sbucato nella via accanto a quella dove Sivasakthi tiene il darshan e, vista l’ora, ci sono andato.

E qui è accaduta la seconda cosa.Per quasi tutto il darshan ho avuto milioni di pensieri a frullarmi il cervello, tanto da dover ricorrere spesso al mantra datomi da Navyo (io non sono quello che mi succede, sono l’osservatore). Non so se è stato questo, ma verso la fine, quando Sivasakthi era già in piedi, ci ha passato con lo sguardo uno per uno, e nel momento in cui l’ha posato su di me sono stato investito da una potentissima onda e mi sono ritrovato al colmo della gioia, con una carica d’amore stupenda nel cuore, e le lacrime sono scese. La stessa cosa è accaduta ad una donna seduta accanto a me. Bellissimo! Dopo un giro all’ashram e una breve cena, ci salutiamo.

Domani riprende il lavoro con Navyo e la sera c’è la Pradakshina della luna piena. 2.1 -Il primo mattino è dedicato al trasloco, dall’albergo mi sposto in una stanza vicino all’ashram (costa meno di 1/6), alle 10 ci troviamo con Navyo che poi ci porta a un sentiero che sale su Arunachala. Lentamente il caos del traffico e i suoi rumori si dissolvono, fino al punto in cui intorno a noi c’è il silenzio, rotto solo dai suoni della natura o dalla voce di qualche Sadu che ogni tanto incontriamo e ci saluta. Alcune scimmie, tante farfalle coloratissime e un bel verde, fanno da sfondo al nostro passaggio. Dopo un’ora e mezza di salita (a piedi scalzi, il contatto con terra e pietra è stupendo) arriviamo al cuore di Arunachala, dove Ramana aveva costruito il suo primo piccolo ashram. Il posto è incantevole, con una vista splendida; in basso si vede il grande tempio di Tiruvanmalai che, visto da qui, sembra di foggia azteca. Tutto intorno pace e silenzio. Scendiamo poi da un altro sentiero e raggiungiamo la grotta dove Ramana si è illuminato e dove si trovano le ceneri di un altro come lui. Entriamo, la grotta è a forma di ohm. Ci sediamo in silenzio per un tempo che non so definire e poi ripartiamo. Durante la discesa incontriamo tutta una serie di piccoli ashram, tra cui due per sole donne, e ricominciamo a udire i rumori della città, anche perché il sentiero porta proprio al tempio. Torniamo infine nella nostra zona e, dopo un breve pasto, a riposo: la stanchezza si fa sentire. 

Nel pomeriggio nuovo incontro con la silente, cui seguono una mangiata collettiva di mini banane e la degustazione di un cocco.La sera, vista la stanchezza di tutti (eccetto Navyo), decidiamo di non fare la Pradakshina e ci sediamo a osservare il fiume di gente che passa ininterrottamente, con una varietà di colori incredibili. Poco distanti da noi, seduti a terra, ovviamente, quattro simil-sadu suonano e cantano dalle cinque del pomeriggio. Arriva anche un carro con del cibo: sono i ricchi della zona che lo offrono a chi lo vuole. Alle 10.30 Navyo non resiste e decide di partire, lo rivedremo domani; ha un’energia incredibile, farebbe il giro della montagna ogni giorno.Noi invece optiamo per il riposo e alle 11 ognuno parte per la propria “room”. Io sono rintronato dal raffreddore. 3.1 Una mattinata passata a meditare nell’ashram: prima nel samadhi di Ramana, e poi in uno molto più piccolo, quieto e silenzioso, ma potente. Da un terrazzo io e Rita Puri osserviamo in basso uno specchio d’acqua sulla cui spiaggia un serpentello (quasi due metri) sta beatamente prendendo il sole. La nostra presenza lo disturba e comincia a muoversi sondando i dintorni con la lingua velocissima, poi sente avvicinarsi qualcuno e, spaventato, parte come un fulmine gettandosi nell’acqua. Restiamo a guardarlo incantati mentre nuota veloce fino a scomparire alla nostra vista.

A un coffee shop facciamo poi conoscenza con un ferrarese che da tre anni studia il sitar e tiene concerti sia qui che in Italia; un po’ egocentrico, ma simpatico. Nel pomeriggio un nuovo bell’incontro con Sivaskthi, poi andiamo all’ashram per un miniconcerto di strumenti tradizionali Tamil (un gran fracasso) e la sera altro concerto (è il 125° anniversario della nascita di Ramana) con un quintetto di voci femminili. Dopo un buon inizio diventa francamente noioso ed esco.Trovo Rita Puri che è appena arrivata dalla Pradakshina interna; dice che è molto bella, la farò anch’io. 

4.1- Dopo una breve visita all’ashram, andiamo a piedi in città per informarci sugli orari dei bus che portano a Mamallapuram, girando così tra le varie vie: praticamente, in centro, è tutto un negozio. Tutto bene sino a quando, fermatici per bere una spremuta di arance locali, Rita Puri si accorge che le manca il portafoglio, dentro il quale teneva le chiavi di casa. Le ricerche non danno esito e torniamo all’ashram un po’ abbattuti. Navyo sembra in preda ad un trip devozionale e passerebbe tutto il suo tempo nei templi; stamane alle sei era già al samadhi di Ramana per ascoltare i canti vedici, la sera non perde una volta i cori e vorrebbe poter assistere ad ogni funzione. 

Nel pomeriggio, dopo il darshan quotidiano, sempre gradevole, Navyo ci chiede di tenere il silenzio fino a cena. E così accade, vago all’interno dell’ashram cercando posti tranquilli e fermandomi di tanto in tanto, poi, dopo cena, c’è un nuovo concerto, stavolta vocale con una sola percussione di fondo, che a tratti scompare.La solista è bravissima, con una voce stupenda, ma i canti Tamil evidentemente non fanno per me, mi sembrano tutti uguali, quindi, dopo una mezz’ora me ne vado. Dopo il concerto un caffè in compagnia, quindi la buona notte, domattina alle 6.30 Pradakshina. 

5.1 -Alle 7 del mattino, partendo dall’ashram, iniziamo la Pradakshina interna. Salendo per il sentiero attraversiamo una fitta vegetazione di lemongrass e svariati tipi di piante che non conosco; fiori multicolori e centinaia di grosse farfalle variopinte ci accompagnano in silenzio.Arriviamo ad un laghetto di acqua sorgiva dove due sadu, dopo essersi fatti il bagno, lavano le loro vesti. Ci sono le rovine di un piccolo ashram, abbandonato anni fa dopo che avvenne un omicidio. È un posto fantastico, tranquillissimo; il lago è circondato da piante di tamarindo e tanti altri arbusti. Alcune scimmie inizialmente ci osservano con sospetto, poi si rilassano e riprendono le loro attività.

Un martin pescatore nero ed azzurro vola da un albero all’altro, tuffandosi di tanto in tanto per acchiappare qualche pesce (il lago ne pullula) e lasciandosi ammirare. Riprendiamo il cammino attraverso quello che ormai è un bosco, giungendo a un piccolo tempio che sorge in una radura. Dal suo terrazzo mi godo lo spettacolo tutto intorno e noto un gran numero di colibrì che passano di fiore in fiore sui rami degli alberi; in basso una bellissima mangusta gira in cerca di cibo. Ci rituffiamo nel fitto e dopo una buona mezz’ora la vegetazione comincia a diradarsi, fino a divenire una vera e propria savana: solo erba alta e qualche arbusto o piante grasse simili a cactus. Fa caldo, parecchio.In lontananza vediamo la torre di un tempio e deviamo dal sentiero per visitarlo; nei dintorni c’è un villaggio e ci fermiamo per una pausa caffè.Anziché rientrare proseguiamo per un bel tratto sulla strada del giro esterno, poi, con un’altra deviazione, ci troviamo al tempio di Parvathi (compagna di Shiva). È il più bello e colorato che abbia visto finora. Attraverso una serie di scorciatoie giungiamo a un villaggio che in realtà si rivela essere la periferia della città, e qui vedo l’India più vera, con tante casette, alcune ancora col tetto di lemongrass, qualche maialino che gira per le viuzze insieme a tanti bimbi, insomma, una realtà contadina.Nei pressi del tempio principale prendiamo un ricsciò per tornare all’ashram.

Sono le 13.30, la doccia ci attende. Dopo il darshan andiamo a visitare l’ashram di Yogi Ramsuratkhumar: è una costruzione imponente, poco indiana, con una bella sala di meditazione circolare e un’altra sala, al cui centro troneggia la sua statua, immensa, più grande di un palazzetto dello sport. Fa ancora più effetto in quanto deserta, ci sono forse 15 – 20 persone. A destra, verso il fondo, il samadhi di Ramsur. Dopo un giro di ricognizione esterno, rientriamo e un bramino ha appena iniziato la puja serale. Ovviamente Navyo ne viene trascinato e si ferma ad osservarla comportandosi come un devoto indù. In seguito ci dice che non viene coinvolto dal rito in sé, quanto da ciò che gli succede dentro, che è bellissimo. 6.1 -Visita al tempio grande di Tiruvanmalai, uno dei più belli del Tamil Nadu. In effetti è immenso, una città nella città, con dentro una serie di templi più piccoli, enormi vasche d’acqua dove i bramini fanno le loro abluzioni, case dei bramini stessi, giradini, corti interne, cortili, torri…Troviamo anche un elefante che dà la benedizione (rappresenta Ganesh, figlio di Shiva): ti metti davanti a lui, alza la proboscide, vi infili una moneta (come una macchinetta, uguale) e ti tocca sulla testa.  Siamo capitati in un giorno particolare, probabilmente qualche festa; infatti, dal tempio dove si trova il lingham di Shiva, esce, portata a spalle e con rullo di tamburi, la statua di Ganesh tutta agghindata con fiori ed abiti, poi seguita da una portantina con Shiva e Parvathi e poi da un’altra ancora. Canti e fuochi d’artificio. Fuori dal tempio giriamo per negozi e mercati, bellissimo quello della frutta e verdura, molto grande e con una varietà incredibile di prodotti. Dopo qualche acquisto, tra cui delle banane rosse, usciamo dal caos cittadino e con un risciò torniamo alla base. 

*Ogni volta che esco dal darshan di Sivasakthi mi sento stordito, con la testa che sembra enorme, piena; e così è anche oggi. Riesce a trasmettere tanto senza mai dire nulla, la silente.*Siamo a cena da Navyo. È l’ultima volta che ci incontriamo (per ora), domani io e Rita partiamo per Mamallapuram, martedì lui e Lucie andranno da Sai Baba. Prima di cena parliamo un po’ di questi giorni passati insieme, delle sensazioni riportate, di ciò che sentiamo. Personalmente, nonostante il lavoro su di me sia stato limitato, sto bene ed ho dentro una certa pace che spero continui nei prossimi giorni ed anche oltre. Durante il pasto la conversazione si sposta su episodi accaduti nei loro precedenti viaggi e soggiorni, con storie di serpenti, orsi, scoiattoli e così via. Al termine ci salutiamo con un bell’abbraccio e torniamo ai nostri luoghi di riposo notturno. 

7.1 -Giornata di trasferimento. Dopo un’ultima visita all’ashram io e Rita andiamo in riksciò alla stazione e prendiamo il bus per Mamallapuram; inizialmente è semivuoto, ma dopo pochi km è già stracolmo. Dopo tre ore e mezza di viaggio scendiamo a Chengalpattu e cambiamo autobus. Da qui a Mamallapuram ci sono 31 km, ma ci impieghiamo un’ora e mezza, sempre alle strette. Una volta arrivati e trovata sistemazione, andiamo a vedere l’oceano: una spiaggia lunghissima e molto profonda (anche molto sporca) dove troviamo tante famiglie che giocano in acqua (tutti vestiti, nessuno è in costume), alcuni cavalli che corrono sul bagnasciuga e le immancabili mucche. Tre giorni da turista, visitando parchi, templi, aspettando l’alba sulla riva dell’oceano, visitando le officine degli scultori di Mamallapuram. 

11.1 -Mattinata spesa per gli ultimi piccoli acquisti, una visita all’oceano, il pasto, un po’ di riposo e poi un pomeriggio trascorso nell’attesa, tranquilla, dell’arrivo del taxi che mi porterà all’aeroporto di Chennai. Un abbraccio a Rita Puri e uno all’amico inglese conosciuto da poco e poi via. Tutto si svolge senza problemi, dopo lo sbarco pochi minuti di attesa poi vedo giungere l’auto con a bordo mia moglie e mia figlia; baci, abbracci, poi, lentamente il rientro nel normale ciclo della vita quotidiana, con i suoi ritmi, tanto diversi da quelli che ho lasciato, cui cercherò di riassuefarmi tentando di non dimenticare comunque quella calma interiore che per ora mi porto dentro.