Il Samadhi secondo Sri Ramana Maharshi
Sri Ramana veniva spesso interrogato sul samadhi con le sue diverse accezioni; qui vengono presentate alcune sue parole prese nei diversi dialoghi, dove spiega la differenza fra i diversi stati nei resoconti delle conversazioni svoltesi con i vari ospiti dello Sri Ramanasramam.
Due tipi di Nirvikalpa Samadhi
La classificazione usata generalmente da Sri Ramana divide il samadhi nella seguente triplice divisione (*) :
1) Sahaja nirvikalpa samadhi. Questo è lo stato del 'jnani' che ha definitivamente e irrevocabilmente eliminato il suo ego. 'Sahaja' significa “naturale” e 'nirvikalpa' significa “nessuna differenza”. Un jnani in questo stato è in grado di agire naturalmente nel mondo, proprio come fa qualunque ordinaria persona. Sapendo di essere il Sé, il 'sahaja jnani' non vede differenze fra sé e gli altri e nessuna differenza fra se stesso e il mondo. Per una tale persona, ogni cosa è una manifestazione dell'invisibile Sé.
2) Kevala nirvikalpa samadhi. Questo è lo stato che precede la realizzazione del Sé. In questo stato c'è una consapevolezza del Sé temporanea, ma priva di sforzo; però l'ego non è stato eliminato definitivamente. E' caratterizzato da un'assenza di coscienza corporea. Sebbene in questo stato si abbia una temporanea consapevolezza del Sé, non si è in grado di percepire le informazioni sensoriali o di funzionare nel mondo. Quando la coscienza corporea torna, l'ego riappare.
3) Savikalpa samadhi. In questo stato particolare, la consapevolezza del Sé viene mantenuta dallo sforzo costante. La continuità del samadhi dipende totalmente dallo sforzo compiuto per mantenerlo. Quando l'attenzione sul Sé vacilla, la consapevolezza del Sé viene a essere oscurata.
[dall'Introduzione al cap. 14 curata da David Godman, tratta da 'Sii ciò che sei', Ed. Il Punto d'Incontro]
Qualche chiarimento sui tre tipi di samadhi.
D: Posso avere una chiara idea della differenza tra 'savikalpa' e 'nirvikalpa'?
R: Aggrapparsi allo stato supremo è 'samadhi'. Quando avviene con sforzo a causa di disturbi mentali, è 'savikalpa'. Quando questi disturbi sono assenti, è 'nirvikalpa'. Rimanere permanentemente nello stato primordiale senza sforzo è 'sahaja'.
D: Il 'nirvikalpa samadhi' è assolutamente necessario prima del conseguimento del 'sahaja'?
R: Dimorare permanentemente in uno qualunque di questi samadhi, 'savikalpa' o 'nirvikalpa', è 'sahaja' (lo stato naturale). Che cos'è la coscienza corporea? E' il corpo insenziente più la coscienza. Entrambi devono avere la loro base in un'altra coscienza che è assoluta e non influenzata e che rimane sempre così com'è, con o senza coscienza corporea.
Cosa importa allora se la coscienza corporea sia persa o mantenuta, purché si sia aggrappati a quella pura coscienza? L'assenza totale della coscienza corporea ha il vantaggio di rendere il samadhi più intenso, sebbene non faccia differenza rispetto alla conoscenza del supremo.
Differenze tra kevala e sahaja nirvikalpa samadhi.
D: Può il meditante essere influenzato da disturbi fisici durante il 'nirvikalpa samadhi'? Il mio amico e io siamo in disaccordo su questo punto.
R: Entrambi avete ragione. Uno di voi si riferisce al 'kevala' e l'altro al 'sahaja samadhi'. In entrambi i casi la mente è immersa nella beatitudine del Sé.
Nel primo, i movimenti fisici possono causare disturbi al meditante, perché la mente non è completamente morta. E' ancora viva e può, come dopo il sonno profondo, ritornare attiva in qualunque momento. Viene paragonata a un secchio che, sebbene completamente immerso sott'acqua, può essere tirato fuori da una corda cui è ancora attaccato.
Nel 'sahaja' la mente è completamente sprofondata nel Sé, come il secchio che è affondato nelle profondità del pozzo insieme alla sua corda. Nel 'sahaja' non rimane nulla che possa essere disturbato o tirato indietro nel mondo. Le proprie attività allora assomigliano a quelle di un bambino che succhia il latte di sua madre nel sonno ed è a malapena consapevole del pasto
D: Come si può adempiere alle proprie funzioni nel mondo in tale stato?
R: Chi si abitua naturalmente alla meditazione e gioisce la beatitudine della meditazione non perderà il suo stato di samadhi qualunque lavoro esterno faccia, qualunque tipo di pensiero gli possa venire. Quello è il 'sahaja nirvikalpa'.
Il 'sahaja nirvikalpa' è 'nasa' (totale distruzione della mente), laddove il 'kevala nirvikalpa' è 'laya' (temporanea sospensione della mente). Coloro che sono nello stato di 'laya samadhi' dovranno riportare la mente sotto controllo di volta in volta. Se la mente viene distrutta come nel 'sahaja samadhi' non germoglierà più. Qualunque cosa venga fatta da tali persone è soltanto casuale, essi non scivoleranno mai dal loro alto stato.
Coloro che sono nello stato 'kevala nirvikalpa' non sono realizzati, sono ancora cercatori. Coloro che sono nello stato 'sahaja nirvikalpa' sono come una fiamma in un luogo senza vento, o l'oceano senza onde; in loro non c'è movimento. Non possono trovare nulla che sia differente da loro stessi. Per coloro che non raggiungono quello stato, ogni cosa appare come differente da loro stessi.
D: L'esperienza del 'kevala nirvikalpa' è la stessa del 'sahaja', sebbene si ritorni da essa al mondo relativo?
R: Non c'è né venire, né andare – colui che va e che viene non è reale. Nel 'kevala nirvikalpa' c'è il secchio mentale ancora esistente sotto l'acqua, e può essere tirato fuori in qualunque momento. Il 'sahaja' è come il fiume che si è collegato con l'oceano da cui non c'è ritorno.
Perché poni tutte queste domande? Continua a praticare fino a che avrai tu stesso l'esperienza. (**)
Il nirvikalpa samadhi del raja yoga e il sahaja samadhi.
D: Il samadhi, l'ottavo stato del 'raja yoga', è lo stesso samadhi di cui parli tu?
R: Nello yoga il termine 'samadhi' si riferisce a qualche tipo di trance e vi sono vari tipi di samadhi. Ma il samadhi di cui parlo è differente. E' il 'sahaja samadhi'. Qui hai 'samadhana' (stabilità) e rimani calmo e composto anche quando sei attivo. Realizzi che sei mosso dal più profondo Sé reale all'interno. Non hai preoccupazioni, non hai ansietà, non hai problemi, poiché vieni a realizzare che non c'è nulla che ti appartiene. Sai che ogni cosa viene fatta da qualcosa con cui sei in cosciente unione.
D: Se questo 'sahaja samadhi' è la condizione più desiderabile, non c'è necessità del 'nirvikalpa samadhi'?
R: Il 'nirvikalpa samadhi' del 'raja yoga' può avere la sua utilità, ma nel 'jnana' questo 'sahaja sthithi' (stato naturale) o 'sahaja nishtha' (dimorare nello stato naturale) è esso stesso lo stato 'nirvikalpa'. In questo stato naturale la mente è libera da dubbi. Non ha alcun bisogno di oscillare in un'alternanza di possibilità e probabilità. Non vede 'vikalpa' (differenze) di nessun tipo. E' sicura della Verità, perché sente la presenza del reale. Anche quando è attiva, sa di essere attiva nella realtà, il Sé, l'essere supremo.
Alcuni concetti errati sul nirvikalpa samadhi.
D: Ho letto in un libro di Romain Rolland su Ramakrishna che il 'nirvilalpa samadhi' è un'esperienza terribile e terrificante. E' così terribile il 'nirvikalpa'? Stiamo attraversando tutti questi tediosi processi della meditazione, della purificazione e della disciplina solo per finire in uno stato di terrore? Stiamo per trasformarci in cadaveri viventi?
R: Le persone hanno ogni tipo di idea sul 'nirvikalpa'. Perché parlare di Romain Rolland? Se coloro che hanno a disposizione tutta la tradizione delle 'Upanisad' e del 'Vedanta' hanno opinioni fantastiche sul 'nirvikalpa', chi può biasimare un occidentale per simili idee?
Attraverso degli esercizi respiratori alcuni yogi cadono in uno stato catalettico molto più profondo del sonno senza sogni, in cui non sono consapevoli di nulla, assolutamente di nulla, ed essi lo glorificano come 'nirvikalpa'. Altri pensano che una volta sprofondati nel 'nirvikalpa' si diventi un essere completamente diverso. Altri ancora considerano il 'nirvikalpa' conseguibile solo attraverso uno stato di trance in cui la coscienza del mondo è totalmente obliterata, come nello svenimento. Tutto ciò è dovuto alle loro considerazioni intellettuali.
Il 'nirvikalpa' è 'cit', coscienza senza sforzo né forma. Da dove viene il terrore, e dov'è il mistero nell'essere se stessi? Per alcune persone la cui mente è diventata matura a causa di una lunga pratica nel passato, il 'nirvikalpa' avviene improvvisamente come una piena, ma per altri avviene nel corso della loro pratica spirituale, pratica che lentamente fiacca i pensieri che ostruiscono e rivela lo schermo della pura consapevolezza “io-io”. La pratica ulteriore rende lo schermo manifesto in modo permanente.
Questa è la realizzazione del Sé, 'mukti', o 'sahaja samadhi', lo stato naturale privo di sforzo. La sola non percezione delle differenze ('vikalpa') esterne, non è la vera natura del 'nirvikalpa' stabile. Sappi che solo il non sorgere delle differenze ('vikalpa') nella mente morta è il vero 'nirvikalpa'.
D: Quando la mente comincia a sprofondare nel Sé, c'è spesso una sensazione di paura.
R: La paura e il tremare del proprio corpo mentre si sta entrando nel samadhi è dovuta alla debole coscienza dell'ego che ancora rimane. Ma quando questo muore completamente, senza lasciare la minima traccia, si dimora come il vasto spazio della pura coscienza dove prevale solo la beatitudine, e il tremare di paura cessa.
[Dialoghi tratti da: 'Sii ciò che sei', a cura David Godman, Ed. Il Punto d'Incontro, pag. 186 e segg.]
E per concludere...
Il 6 Aprile 1937, in risposta a Swami Lokesananda, un sannyasi in visita all'asram che gli chiedeva delucidazioni sul samadhi, Sri Ramana glielo descrisse enumerandone così le caratteristiche essenziali:
"(1) Aggrapparsi alla Realtà è 'samadhi'.
(2) Aggrapparsi alla Realtà con sforzo è 'savikalpa samadhi'.
(3) Assorbirsi nella Realtà e rimanere inconsapevoli del mondo è 'nirvikalpa samadhi'.
(4) Assorbirsi nell'Ignoranza e rimanere inconsapevoli del mondo è il sonno.
(5) Rimanere nell'originario, puro stato naturale senza sforzo è 'sahaja nirvikalpa samadhi'.”
[da 'Talks with Sri Ramana Maharshi', Talk 391]
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(*) Nelle “Letters from Sri Ramanasramam” di Suri Nagamma, nel corso della conversazione (163) intitolata “Sei tipi di samadhi” e avvenuta in data 3 dicembre 1947, Sri Ramana spiega a uno dei suoi interlocutori che Adi Sankara aveva descritto i sei tipi di samadhi nei suoi “Vivekachudamani” e “Drigdrisyaviveka” e, nel corso di questa stessa conversazione, Bhagavan elenca e descrive brevemente la divisione dei sei samadhi in due categorie principali (savikalpa e nirvikalpa) e le loro ulteriori suddivisioni.
(**) Dalla lettura del capitoletto si può notare come parlando del 'kevala nirvikalpa samadhi' Sri Ramana illustri ripetutamente questo tipo di samadhi servendosi dell'immagine del secchio calato nel pozzo per mezzo di una fune ben ancorata al bordo del pozzo stesso. In “Talks with Sri Ramana Maharshi”, Talk 187, questo stesso esempio viene descritto accompagnato da uno schema esemplificativo che evidenzia le differenze tra lo stato di 'sonno', quello di 'kevala' e lo stato di 'sahaja samadhi'.
Realizzazione temporanea
D.- “Il mistico Edward Carpenter ha scritto in un libro che, in certe occasioni, ha ottenuto la realizzazione del Sé e che i suoi effetti a volte permanevano anche dopo l'esperienza, ma che poi gradualmente svanivano. La 'Sri Ramana Gita' invece afferma: 'Il granthi (nodo=legame) una volta sciolto, è sciolto per sempre'. Nel caso di Carpenter, al contrario, sembra che il 'legame' sia rimasto anche dopo la realizzazione del Sé. Come è possibile?”.
M.- Nel 'Kaivalya' leggiamo che il discepolo, dopo aver realizzato lo stato luminoso, unico e ininterrotto di Essere-Coscienza-Beatitudine, si abbandonò completamente al maestro e lo pregò umilmente di dirgli come avrebbe potuto ricambiare la sua grazia. Il maestro gli rispose: 'La mia ricompensa consiste nella tua permanente e continua beatitudine. Non allontanartene mai'.
D.- Una volta che un uomo ha fatto l'esperienza della Beatitudine Suprema, come può allontanarsene?
M.- Oh sì! Accade. Le predisposizioni aggrappate a lui da tempo immemorabile lo trascineranno fuori e l'ignoranza lo riprenderà.
D.- Quali sono gli ostacoli che impediscono di rimanere fermi nella Beatitudine continua? Come si possono superare?
M.- Gli ostacoli sono:
1. l'ignoranza, che è l'oblio del proprio puro essere;
2. il dubbio, che consiste nel chiedersi se l'esperienza fatta era quella della Realtà o dell'irrealtà;
3. l'errore, che consiste nell'idea 'Io sono il corpo' e nel pensare che il mondo sia reale.
Questi ostacoli si superano ascoltando la verità, riflettendoci sopra e concentrandosi su di essa.
L'esperienza può essere temporanea o permanente. La prima esperienza è temporanea, ma con la concentrazione può diventare permanente. Quando è temporanea il legame non è completamente reciso, ma permane allo stato sottile e al momento propizio si riafferma. Quando è permanente il legame è completamente distrutto e non riappare più.
L'espressione 'yogabhrastha' (coloro che sono caduti dallo yoga) usata nello 'Srimad Bhagavad Gita' è riferita a quella categoria d'individui che ha avuto un'esperienza temporanea.
D.- L'ascolto della Verità è dunque solo per poche persone?
M.- E' di due tipi: quello comune consiste nell'ascoltare la Verità esposta e spiegata da un maestro; quello giusto, però, consiste nel porsi direttamente la domanda, nel cercare e trovare la risposta in se stessi, come la coscienza ininterrotta 'Io-Io'. Riflettere su questa esperienza costituisce il secondo stadio. Rimanere costantemente concentrati su di essa è il terzo stadio. (...)
Questi tre passi comprendono l' 'upasana' (l'approccio più vicino alla Verità) e culminano nella realizzazione del Sé.
Il quarto stadio è quello finale della liberazione. Anche qui si fanno delle distinzioni, secondo il grado: 'Brahmavid' (conoscitore di Brahman), 'Brahmavid-vara', 'Brahmavid-varya' e 'Brahmavid-varishta. Tutti questi però sono di fatto esseri liberati anche mentre vivono nel corpo.[/color]
[Discorsi con Sri Ramana Maharshi, vol. I, Talk 95, 13 novembre 1935, pagg. 96,97.]
Stabilizzare la jnana
D.- E' possibile perdere la jnana dopo averla conseguita?
M.- La jnana, una volta rivelata, ci mette del tempo a stabilizzarsi. Il Sé è certamente alla portata dell'esperienza diretta di ognuno, ma non come s'immagina. Esso è semplicemente così com'è. E' l'esperienza del 'samadhi'.
Come il fuoco non brucia quando si ricorre ad incantesimi o ad altri espedienti, altrimenti brucia, allo stesso modo anche il Sé rimane velato dalle 'vasana', mentre si rivela quando non vi sono vasana. A causa della fluttuazione delle vasana, alla jnana occorre del tempo per stabilizzarsi. Uno stato di jnana instabile non è sufficiente ad impedire le rinascite. La jnana non può essere stabile in presenza di vasana.
E' vero però che in presenza di un grande maestro le vasana cessano di essere attive, la mente si calma e si produce il samadhi, come il fuoco che non brucia grazie a degli espedienti. Così il discepolo in presenza del maestro ottiene la vera conoscenza e fa la giusta esperienza, ma per rimanere stabile in ciò sono necessari altri sforzi. Infine il discepolo realizzerà che questo stato è il suo Essere reale e così sarà liberato mentre ancora vive nel corpo.
Il samadhi ad occhi chiusi è certamente positivo, ma bisogna andare ancora oltre, finché non si realizza che attività e inattività non sono contrarie l'una all'altra. La paura di perdere il samadhi mentre ci si dedica ad un'attività è un segno d'ignoranza. Il samadhi dev'essere la vita naturale di ognuno.
Esiste un altro stato oltre i nostri sforzi e l'assenza di sforzi, e finché non si realizza è necessario fare lo sforzo.
Quando si è provata la Beatitudine, anche solo una volta, ci si sforzerà di riaverla continuamente. Una volta fatta l'esperienza della Beatitudine della Pace nessuno vuole privarsene o farne a meno. Per un jnani è difficile essere occupato dai pensieri, come per un 'ajnani' lo è essere libero dai pensieri.
L'uomo comune dice di non conoscersi: elabora molti pensieri e non riesce a stare senza pensare. Nessun tipo di attività influenza lo jnani. La sua mente resta sempre immersa nella Pace eterna.
[Discorsi con Sri Ramana Maharshi, vol. I, Talk 141, 19 gennaio 1936, pag. 129.]
Il nirvikalpa samadhi
D: Può il meditante essere influenzato da disturbi fisici durante il 'nirvikalpa samadhi'? Il mio amico e io siamo in disaccordo su questo punto.
R: Entrambi avete ragione. Uno di voi si riferisce al 'kevala' e l'altro al 'sahaja samadhi'. In entrambi i casi la mente è immersa nella beatitudine del Sé.
Nel primo, i movimenti fisici possono causare disturbi al meditante, perché la mente non è completamente morta. E' ancora viva e può, come dopo il sonno profondo, ritornare attiva in qualunque momento. Viene paragonata a un secchio che, sebbene completamente immerso sott'acqua, può essere tirato fuori da una corda cui è ancora attaccato. Nel 'sahaja' la mente è completamente sprofondata nel Sé, come il secchio che è affondato nelle profondità del pozzo insieme alla sua corda. Nel 'sahaja' non rimane nulla che possa essere disturbato o tirato indietro nel mondo. Le proprie attività allora assomigliano a quelle di un bambino che succhia il latte di sua madre nel sonno ed è a malapena consapevole del pasto.
Il dialogo sopra riportato fa parte del cap. 14, “Samadhi”, dal libro “Sii ciò che sei” e nella nota 10 al suddetto capitolo il curatore David Godman indica la provenienza del brano: S. Cohen, Guru Ramana.
La data del dialogo a p. 85 del testo indicato è 13th March 1936.
In: M. Venkataramiah, Talks with Sri Ramana Maharshi, nella stessa data compare il medesimo dialogo, anche se, come si può vedere, esso viene riportato con differente ampiezza e alcune diverse spiegazioni.
Può risultare utile il confronto tra i due brani.
Kevala e sahaja samadhi
D.: Ritengo che il corpo fisico di un uomo immerso in samadhi, come risultato della contemplazione ininterrotta del Sé, diventi per la stessa ragione immobile. Può essere in uno stato di attività o di inattività. La mente concentrata nella contemplazione non sarà influenzata dal corpo o dai sensi agitati. Una distrazione della mente non presagisce sempre l'attività fisica. Un'altra persona sostiene invece che l'agitazione fisica impedisce di certo il nirvikalpa samadhi o la contemplazione ininterrotta. Qual è la vostra opinione? Voi siete la prova vivente della mia tesi.
R: Avete ragione tutti e due: voi vi riferite al sahaja nirvikalpa, l'altro si riferisce al kevala nirvikalpa. Nel kevala, la mente resta immersa nella Luce del Sé (mentre normalmente, durante il sonno profondo, resta immersa nelle tenebre dell'ignoranza).
Il soggetto distingue nettamente il samadhi, il fatto di uscire dal samadhi e l'attività che viene dopo, l'agitazione del corpo, della vista, della forza vitale e della mente, la conoscenza degli oggetti e l'attività, tutte cose che per lui sono ostacoli.
Nel sahaja samadhi, la mente si è fusa nel Sé e si è perduta. Le differenze e gli ostacoli menzionati sopra in questo stato non esistono. Le attività dell'uomo in sahaja samadhi sono paragonabili a quelle di un bambino addormentato che venga nutrito senza che ne abbia coscienza (mentre chi guarda ne ha coscienza).
Il cocchiere addormentato al posto di guida non si rende conto che la carrozza avanza, perché la sua mente è immersa nell'incoscienza. Allo stesso modo, il sahaja jnani non è consapevole delle attività del suo corpo perché la sua mente è morta – dissolta nell'estasi di Chid Ananda (il Sé).
Nella domanda, avete usato le parole contemplazione e samadhi in maniera inesatta. La contemplazione è un processo mentale forzato, volontario, mentre il samadhi è al di là di ogni sforzo.[/justify][/color]
[Tratto da: Discorsi con Sri Ramana Maharshi, vol. I, Talk 187, 13-3-36, pp. 158-9, Ed. Vidyananda.]
1) La meditazione deve essere continua come un corso d’acqua. Se viene interrotta, la si chiama samâdhi o kundalinî-shakti.
2) Il mentale può essere allo stato latente e immergersi nel Sé. Ma quando si esce da questa immersione ci si ritrova identici a come si era
prima, perché le disposizioni mentali erano allora presenti allo stato latente, pronte a manifestarsi quando se ne presenta l’occasione.
3) Le attività mentali possono anche essere distrutte completamente. C’è quindi una differenza con il mentale precedente perché, in questo secondo caso, il collegamento è interrotto e non riappare più.
Quando un uomo ha attraversato lo stato di samâdhi e contempla in seguito il mondo, non lo considera se non nel suo giusto valore, vale a dire come un riflesso dell’unica Realtà. L’Essere supremo può essere realizzato soltanto in samâdhi. Ciò che era allora, è lo stesso ora. Altrimenti, non c’è realtà o Essere sempre presente. Di conseguenza attaccatevi allo stato di samâdhi e vi ritroverete nel vostro stato naturale di Essere. La pratica del samâdhi vi ci condurrà. Altrimenti a cosa servirebbe, dunque, lo stato di nirvikalpa samâdhi nel quale l’uomo resta immobile come una statua? Egli deve necessariamente uscire da
questo stato prima o poi e affrontare di nuovo il mondo. Nello stato di sahaja-samâdhi, egli resta indifferente al mondo esteriore.
Ci sono tante immagini che sfilano su uno schermo di cinema. Il fuoco brucia tutto, l’acqua travolge intere regioni, e tuttavia lo schermo resta impassibile. Lo stesso è per lo jnânin. I fenomeni della vita terrestre sfilano semplicemente sullo schermo del suo mentale purificato e lo lasciano perfettamente distaccato. Voi potete certamente sostenere che le persone avvertono dolore o piacere a contatto coi fenomeni della manifestazione. Ciò è dovuto alle sovrapposizioni.
E ciò non dovrebbe aver luogo. È avendo di mira questo scopo che occorre dedicarsi alla pratica spirituale. Essa si effettua seguendo l’una o l’altra delle due vie: la devozione o la conoscenza. A dire il vero, queste due vie non sono il vero scopo. Occorre prima di tutto ottenere il samâdhi e farne una pratica assidua in modo tale da ottenere lo stato di sahaja. Dopodiché non resta da fare nient’altro.
(Ramana Maharshi)
A cura di Yati, tratto dal Forum Pitagorico