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Il Maharshi

Aneddoti, ricordi, rimembranze, dialoghi...

Surrender


Molte delle tradizioni religiose del mondo patrocinano l'abbandono a Dio come mezzo per trascendere il sé individuale. Sri Ramana accettava la validità di un tale approccio e spesso disse che questo metodo era efficace come l'autoindagine. Tradizionalmente il sentiero dell'abbandono è associato a pratiche devozionali dualistiche, ma tali attività erano di importanza secondaria per Sri Ramana. Invece egli enfatizzava il fatto che il vero abbandono trascendeva l'adorazione di Dio in una relazione soggetto-oggetto, poiché esso poteva essere realizzato con successo solo quando colui che immaginava di essere separato da Dio cessava di esistere. Per raggiungere questa meta egli raccomandava due distinte pratiche:

1) Aggrapparsi al pensiero “io” finché colui che immagina di essere separato da Dio scompare.

2) Abbandonare completamente tutta la responsabilità della propria vita a Dio o al Sé. Affinché tale autoabbandono sia efficace, non si devono avere volontà o desideri propri e si deve essere completamente liberi dall'idea che vi sia una persona individuale capace di agire indipendentemente da Dio.

Ramana Maharshi e discepoli realizzati

Se si entra in libreria e si va allo scaffale spiritualità troviamo diversi libri che fanno riferimento a Sri Ramana, ma anche ad autori che affermano di essersi realizzati alla presenza del Maharshi o di altri autori che seguono costoro o si sarebbero realizzati con costoro. Certo i tempi devono essere mutati.

Forse grazie alla globalizzazione ma mai si era avuta la sensazione che ci fossero così tanti realizzati nel mondo e, immaginiamo, tante possibilità di realizzarsi. Girando il web vediamo come ci siano decine di occidentali che si propongono come non-istruttori o mediatori fra noi e (l'insegnamento più proposto) l'Advaita di (a seconda dei casi) Shankara, Nisargadatta, Ramana. È una moda già iniziata da diversi anni; personalità affascinanti, spesso "contro" il sistema, la codificazione, la globalizzazione, la suddivisione, la società moderna, le religioni, le filosofie, il cammino, la fatica, lo sforzo.

Alcuni Pregiudizi Riguardanti L'Advaita

Il fascino del sentiero diretto

La concezione advaita può facilmente prestarsi ai più diversi tipi di interpretazione. In realtà, si può sostenere che dal momento che lo “stato” advaita trascende ogni pensiero e ogni dualità, tutte le interpretazioni che se ne danno sono, in ultima analisi, dei fraintendimenti!

La stessa pratica advaita concerne l’eliminazione di pregiudizi, e in particolare di quelli concernenti la nostra vera natura di cui mette in evidenza la falsa identificazione con il corpo e il mondo esterno. Ma anche i pregiudizi riguardanti il sentiero possono costituire dei notevoli ostacoli da superare. Naturalmente molti di questi stessi pregiudizi possono essere propri di qualsiasi sentiero spirituale, perché tutti i sentieri spirituali hanno come meta stati di consapevolezza superiori che possono esercitare la loro attrazione sia sulla fantasia e sulla fuga dalla vita quotidiana piuttosto che su una genuina aspirazione. Ciò nonostante, poiché l'Advaita è il sentiero più sublime e più diretto, questa possibilità di distorsione è anche maggiore, come nel caso di uno scalatore ordinario che immagini di conquistare le vette del Monte Everest.

Realizzazione temporanea

D.- “Il mistico Edward Carpenter ha scritto in un libro che, in certe occasioni, ha ottenuto la realizzazione del Sé e che i suoi effetti a volte permanevano anche dopo l'esperienza, ma che poi gradualmente svanivano. La 'Sri Ramana Gita' invece afferma: 'Il granthi (nodo=legame) una volta sciolto, è sciolto per sempre'. Nel caso di Carpenter, al contrario, sembra che il 'legame' sia rimasto anche dopo la realizzazione del Sé. Come è possibile?”.

M.- Nel 'Kaivalya' leggiamo che il discepolo, dopo aver realizzato lo stato luminoso, unico e ininterrotto di Essere-Coscienza-Beatitudine, si abbandonò completamente al maestro e lo pregò umilmente di dirgli come avrebbe potuto ricambiare la sua grazia. Il maestro gli rispose: 'La mia ricompensa consiste nella tua permanente e continua beatitudine. Non allontanartene mai'.

D.- Una volta che un uomo ha fatto l'esperienza della Beatitudine Suprema, come può allontanarsene?

Silenzio e Satsanga - David Godman

Sebbene Sri Ramana fosse lieto di offrire i suoi insegnamenti verbali a chiunque li richiedesse, egli indicò spesso che i suoi “insegnamenti silenziosi” erano più diretti e potenti. Questi “insegnamenti silenziosi” consistevano in una forza spirituale che pareva emanare dalla sua forma, una forza così potente che egli la considerava come il più diretto e importante aspetto dei suoi insegnamenti.

Invece di dare istruzioni verbali su come controllare la mente, egli emetteva senza sforzo un potere silente che automaticamente tranquillizzava le menti di tutti nella sua vicinanza. Le persone che erano in sintonia con questa forza raccontarono che la sperimentavano come uno stato di pace interiore e benessere; in alcuni devoti avanzati ciò provocò perfino una diretta esperienza del Sé.

Un saggio dell’età dell’oro

Premessa

«Sono nato a Tiruchuzhi (Tirucculi), un villaggio del distretto Ramnad, il 30 dicembre del 1879. Sotto ispirazione Divina ho lasciato, a fin di bene, la mia casa nativa all’età di diciassette anni alla ricerca di Arunachala e sono giunto a Tiruvannamalai nel 1896».(1) Così si apre il testamento di uno dei più grandi Maestri dell’india moderna.

Sedere accanto a questo Maestro - qualcuno ha scritto - portava alla consapevolezza che noi non siamo completamente uomini, in quanto l’umanità si realizza nella sua pienezza proprio quando, come nel suo caso, la natura umana diventa simbolo e tempio della Perfezione spirituale.

Ramana Maharshi e la Tradizione Advaita

L'Advaita è la filosofia - se così si può chiamare- che fu insegnata da Sri Ramana Maharshi attraverso la sua vita e attraverso le sue "opere". Advaita come verità, significa "non dualità"; Come filosofia, si può rendere come "non dualismo". Ciò non significa che la filosofia in questione sia un sistema chiuso, perché non è un sistema filosofico. Indica l'esperienza plenaria della non dualità, che sta al di là delle costruzioni del pensiero.

Sebbene il pensiero sia utile, in quanto può dirci che cosa la realtà non è, la realtà stessa non può essere imprigionata entro i suoi confini. Ciò che abbiamo chiamato esperienza plenaria è l'Io non duale dove non vi sono distinzioni. Sri Ramana Maharshi "acquisì" o meglio scoprì questa esperienza senza studi formali. I libri che egli lesse più tardi servirono solo a confermare la sua esperienza dell'Advaita.

L'Advaita come tradizione, si può far risalire ai Veda e alle Upanishad. In alcuni inni vedici, che hanno argomento metafisico, la Realtà suprema è chiamata "l'Unico Essere" (ekam sat), "Quell'Uno" (tat ekam), ecc. La dottrina dell'Uno trova una chiara esposizione nelle Upanisad che costituiscono il Vedanta la Fine dei Veda.

I termini spesso impiegati nelle Upanishad per designare l'Unico Essere sono Brahman ed Atman Brahman, che è la base dell'universo, proclamato identico ad Atman. "Qui non vi è alcuna pluralità " dice un testo upanishadico, e soggiunge: "Dalla morte alla morte va colui che vede la pluralità qui, come se ci fosse".

Nel centro della grotta del cuore il puro Brahman solo risplende direttamente nella forma dell'Io come " io-io ". Entra nel cuore con mente ricercante, e dissolvendo (l'ego) mediante il controllo del respiro, dimora nell'Io (Sri Ramana).

Rimanendo Testimone

D. Potreste spiegarmi il fenomeno di Sri  Ramana Maharsi, che apparentemente ottenne l’illuminazione del tutto spontaneamente, senza fare alcunché?

R. Nessuno può dare una spiegazione delle cose. Le cose sono come sono e non c’è niente da spiegare. La sola cosa possibile è mettere in evidenza la ragione per cui sembra di non essere a conoscenza di ciò che siamo.

D’altra parte ci sono alcune cose che sono del tutto ovvie. Quando, a diciassette anni, Venkataraman fu preso dal panico e sentì che stava per morire avrebbe potuto precipitarsi dal dottore e chiedere un tranquillante, cosa che la grande maggioranza di noi avrebbe fatto. Ma già a quell’età egli era talmente maturo che accettò e si arrese al panico senza fuggire. Il che sta a dimostrare che era un ragazzo molto coraggioso. Lasciò che il panico lo investisse, si stese sul pavimento, e si abbandonò a ciò che sembrava inevitabile: «Io sto per morire. Che cosa sta veramente accadendo?».

In altre parole, egli si ritirò spontaneamente dalla sua individualità e assunse la posizione del Testimone.

È importante riconoscere che, in questo modo, egli rinunciò a ogni desiderio di continuare a vivere nel tempo e nello spazio. Poi, come tu dici, l’illuminazione sopraggiunse senza che ci fosse bisogno di fare qualcosa, ed è inevitabile che sia così. Infatti, la realizzazione avviene solamente quando smettiamo di fare qualcosa, quando dimentichiamo il "facitore" in noi, frutto di proiezioni, e rimaniamo "testimoni" di ogni evento che appare e scompare. Inoltre egli adottò il "punto di vista del Testimone" nel momento più critico fra tutti: quando il panico che giace alla radice dell’individualità si precipitò su di lui.

Mentale I

Ramana Maharshi 

D. Ma che cosa è il mentale?

R. Il mentale è una delle forme sotto cui la vita si manifesta. Un pezzo di legno o una macchina complicata non sono chiamati “mentale”. La forza vitale si manifesta non solo sotto forma di attività vitale ma anche sotto forma di quel fenomeno di coscienza che si denomina mentale.

D. Qual è la relazione fra il mentale e l’oggetto? Il mentale entra in contatto con qualcosa di distinto, vale a dire il mondo?

R. Il mondo viene “sofferto” negli stati di sogno e di veglia dalle facoltà dei sensi, oppure è l’oggetto di una percezione o di un pensiero. In entrambi i casi si tratta di attività mentali. Se la duplice attività mentale, del sogno e della veglia, non esistesse, non si percepirebbe un “mondo” e non si con­cluderebbe che esso esiste.