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Il Maharshi

Aneddoti, ricordi, rimembranze, dialoghi...

Manolaya

Domanda: Quando sono impegnato nell'indagine sulla sorgente da cui nasce l' "io" arrivo ad uno stadio di immobilità della mente al di là del quale mi trovo incapace di procedere. Non ho alcun tipo di pensiero e c'è un vuoto. Una luce leggera mi pervade e sento di essere incorporeo. Non ho né cognizione, né visione di corpo e forma.

L'esperienza dura circa mezz'ora ed è piacevole. Sarebbe corretto concludere che tutto ciò di cui c'è bisogno per assicurarsi eterna felicità, cioè libertà o salvezza o comunque la si chiami, sia il continuare la pratica fino a che questa esperienza possa essere mantenuta per ore, giorni, mesi ?

Risposta: Questo non significa salvezza. Tale condizione è chiamata manolaya o temporaneo silenzio del pensiero. Manolaya significa concentrazione, arrestare temporaneamente il movimento dei pensieri. Non appena cessa questa concentrazione, i pensieri vecchi e nuovi irrompono come al solito; ed anche se questo temporaneo calmare la mente durasse migliaia di anni, non condurrebbe mai alla totale distruzione del pensiero che è ciò che viene chiamato liberazione dalla nascita e dalla morte.

Il Linguaggio di Sri Ramana

“L'essenza degli insegnamenti di Sri Ramana è contenuta nelle sue frequenti asserzioni che c'è una singola realtà immanente direttamente sperimentata da tutti, che è simultaneamente la sorgente, la sostanza e la reale natura di tutto ciò che esiste. Egli le diede numerosi nomi differenti, esprimendo in ciascuno un differente aspetto della stessa indivisibile realtà. (...)

IL SE'

Questo è il termine che egli ha usato più frequentemente. Lo ha definito dicendo che il vero Sé o vero “Io”, contrariamente all'esperienza percepibile, non è un'esperienza dell'individualità, ma una consapevolezza non personale, onnicomprensiva. (…) Egli asserì che il Sé reale è sempre presente e sempre sperimentato, ma enfatizzò che siamo realmente consapevoli di come è soltanto quando le tendenze autolimitanti della mente sono cessate. La permanente e continua consapevolezza del Sé è nota come auto-realizzazione.

Dal prana creò la fede

“Quello [il Purusha] creò il prana; dal prana [creò] la fede e lo spazio, l’aria, il fuoco, l’ac­qua e la terra, gli organi, la mente e il cibo; dal cibo [creò] il vigore, l’asce­si, i mantra, i riti, i mondi e il nome [di ogni essere] nei mondi”. (Prasna Up., VI,4).

È interessante esaminare in profondità il senso dell’affermazione “dal prana creò la fede” quale pri­mo elemento immediato della sua manifestazione, precedente perfino l’akasha, o etere, o spazio. La fede è dunque qualcosa che, al pari del prana, per­mea e sostiene l’intera creazione vivente, come sostrato di tutta l’esistenza. Ma la fede introduce qualcosa di più dinamico ed essenziale ai fini del­la realizzazione dello scopo ultimo di tale esistenza.

Sri Ramana sullo Yoga

Cos’è lo jnana-marga (la via della conoscenza)?

R. La concentrazione men­tale è, in un certo senso, comune alle due vie della conoscenza e dello yoga. Lo yoga mira all’unione dell’individuale e dell’universale: la realtà. Questa realtà non può essere nuova. Essa deve già esistere, esiste in questo stesso momento. Di conseguenza, la via della conoscenza cerca di sapere come la separazione (viyoga) è po­tuta sopravvenire. Se c’è separazi­one, non può che essere dalla realtà.

D. Santi quali i grandi Sri Caitanya e Sri Ramakrishna versavano molte lacrime davanti a Dio e hanno raggiunto le più alte vette spirituali. È forse questa la strada da seguire?

R. Sì. C’era in essi una grande forza (shakti) che li trasci­nava a passare attraverso tutte le esperienza. Abbiate fede in questa enorme Potenza e nella sua capacità di condurvi al fine. Si pensa spesso che le lacrime siano un segno di de­bolezza. I grandi personaggi non erano certo de­boli. Tutte queste manifestazioni erano soltanto presso di loro sintomi passeggeri della grande corrente che li trasportava nella sua corsa. Oc­corre considerare il risultato finale. [28.45]

Bhagavan Ramana e la Medicina Erboristica

L’essenza di tutti gli esseri è la terra.

L’essenza della terra è l’acqua.

L’essenza dell’acqua è la pianta.

L’essenza della pianta è l’essere umano.”

Così dice una massima della Chandogya Upanishad.

In India, la tradizione  del benessere risale a migliaia d’anni fa. Iniziò con l’uomo delle caverne che si nutriva di radici, foglie ed erbe crude prima di giungere alla conoscenza del fuoco che, in seguito, gli permise di scoprirne l’utilità per cucinare. In questo modo l’uomo imitava soltanto gli animali, i quali consumavano le piante per curare le malattie. La natura ha provvisto gli animali di quella facoltà che li aiuta a riconoscere i sintomi delle malattie e ha fornito loro i mezzi per l’auto-diagnosi e l’auto-cura.

Perché Bhagavan ignorò il Simbolismo

Considerando in quanti sot­tolineino la verità e la pro­fondità del simbolismo, ci si potrebbe chiedere perché Bhaga­van lo abbia ignorato, quasi senza farne cenno. Poiché il simbolismo è un utile aiuto nei percorsi indiret­ti, non è necessario in un cammi­no diretto di autoconoscenza o nel Vedanta Advaita su cui esso si basa.

Tre sono i livelli di percezione: fisico, universale e metafisico. Osservando dal livello fisico, tutto risulta un agglomerato senza signi­ficato di eventi accidentali e l’uomo erra straniero in un mondo alieno, mosso da leggi estranee che non comprende. Ponendosi dal livello universale, il mondo è un grande libro di simboli che mostrano gli attributi del Divino e manifestano il Suo Essere. Le realtà del piano fisico riflettono o rappresentano quelle del pia­no superiore. Il criptico ermetico recita: «Come sopra, così sotto».

L’uomo è fatto a somiglianza del Divino. I simboli sono la “via del ritorno”, un sentiero tracciato verso ciò che simboleggiano.

Eventi importanti nella vita di Sri Bhagavan

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1879  Lunedì 30 Dicembre – corrisponde al 16 del margali (mese) del pramadi (anno) Tamil – Stella PurnavasuArdra Darshan. Nato alle ore una del mattino a Tiruchuli (‘Sri Sundara Mandiram’).

1891  Parte per Dindigul, dopo aver completato l’educazione elementare a Tiruchuli.

1892 18 febbraio: Morte del padre, Sundaram Iyer. Si trasferisce a Madurai. Studia alla scuola Scott Middle School e all’American Mission High School.

1895  Novembre: Sente nominare il nome ‘Arunachala’ da un anziano parente.

Quaranta Versetti in Lode di Sri Ramana

È ben nota la grande devozione del poeta-veggente Ganapati Muni per il suo guru Sri Bhagavan Ramana Maharshi.  Bhagavan ricambiava la venerazione di Muni riversando continuamente la sua grazia su di lui e guidandolo alla contemplazione del Sé. La storia della genesi dei “Quaranta Versetti in Lode di Sri Ramana” di Ganapati (Sri Ramana Chatvarimsat) è stata meravigliosamente descritta da Sri K. Natesan nel, ‘Il Sentiero della Montagna’ (Jayanti Issue, 2000).

I "Quaranta Versetti", che vengono recitati quotidianamente presso la tomba del Maharshi, sono un’effusione di devozione dal profondo del cuore da parte di un discepolo del più alto grado per il suo guru, Sri Ramana.

Si spera che la seguente traduzione letterale renderà i devoti in grado di raggiungere una visione più profonda nella Divina manifestazione del Maharshi, come altamente affermato da un profeta unico nel ventesimo secolo.

"vande sri ramanarser acharyasya padabjam - yo me'darsayadisam bhantam dvantamatitya - vande"

Mi inchino, sri ramanarser - di Rishi Sri Ramana , acharyasya – del maestro spirituale, padabjam – piedi di loto, yah- che, me - mi, adarsayad – ha mostrato, isam - Signore, bhantam - splendente, dhvantam - oscurità, atitya - trascendente

Mi inchino ai piedi di loto del maestro spirituale, Rishi Sri Ramana, che mi ha mostrato il Signore, splendente, trascendente l’oscurità.

La Voce Registrata del Maharshi

Un devoto in visita allo Sri Ramanasramam portò con sé un registratore con l’intento di registrare la voce del Bhagavan. Fin dal primo momento in cui il visitatore entrò nell’atrio con il registratore, si preoccupò che Bhagavan o qualcun altro, non gli permettesse di farlo. Così entrò nell’atrio, posizionò il registratore davanti a Bhagavan, fece le consuete pranam (prostrazioni) e provò ad ottenere il permesso per registrare.

Con la sorpresa del devoto, Bhagavan iniziò a fare domande, sollecitando alcune informazioni tecniche sui meccanismi dell’operazione. Mentre dava le informazioni richieste, il devoto si sentì sollevato al pensiero che Bhagavan fosse interessato e acconsentisse alla registrazione della sua voce.

Quando le spiegazioni furono terminate, il devoto si rivolse agli altri presenti invitandoli a mantenere il silenzio. Bhagavan osservava attentamente tutto quello che succedeva.

Il devoto posizionò il microfono vicino a Bhagavan e accese il registratore, spostandosi silenziosamente a breve distanza. Da quel momento scese il silenzio… si poteva udire soltanto il sibilo dell’avvolgimento della bobina nel registratore. Dieci o quindici minuti passarono così, in quasi assoluto silenzio.

Disorientato e senza sapere esattamente cosa fare, il devoto si avvicinò a Bhagavan, spense il registratore e, a bassa voce, Gli chiese come mai non avesse parlato. Aggiunse che, se non avesse parlato, la sua voce non avrebbe potuto essere registrata.

Bhagavan replicò: "Perché pensi così? La mia voce, in realtà, è stata registrata. Il mio linguaggio è quello del silenzio, ed esso è stato registrato. Non è così?" Sentendo ciò, il devoto si sentì confuso.