Nel 1930 un devoto chiamato Perumal Svami, che aveva diretto lo Sri Ramanasramam prima del 1922, citò in giudizio Ramana Maharshi e suo fratello Chinnaswami che, intorno al 1928, aveva assunto la gestione dell’asramam. Perumal Svami affermava, nella sua argomentazione davanti alla Corte, di essere ancora il direttore legittimo dello Sri Ramanasramam sostenendo il suo caso con una logica molto contorta. In primo luogo dichiarò che, essendo Bhagavan un sannyasin, non poteva possedere giuridicamente terra o proprietà e che, stando così le cose, Bhagavan non aveva alcun diritto sulla proprietà nota come Sri Ramanasramam. Perumal Svami continuò argomentando che poiché Bhagavan non poteva possedere le proprietà dell’asramam, non aveva autorità per nominare suo fratello a dirigerlo.
Quindi avanzò le proprie richieste dicendo che dal momento che era stato lui il direttore incontrastato di Skandasramam, dove Bhagavan aveva vissuto dal 1916 al 1922, doveva essere ancora lui il direttore dell’asramam perché né Ramana Maharshi né nessun altro erano giuridicamente competenti a rimuoverlo o a sostituirlo. Nelle doglianze alla Corte Perumal, Svami ignorò convenientemente due punti importanti.