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Il Maharshi

Aneddoti, ricordi, rimembranze, dialoghi...

Un saggio dell’età dell’oro

Premessa

«Sono nato a Tiruchuzhi (Tirucculi), un villaggio del distretto Ramnad, il 30 dicembre del 1879. Sotto ispirazione Divina ho lasciato, a fin di bene, la mia casa nativa all’età di diciassette anni alla ricerca di Arunachala e sono giunto a Tiruvannamalai nel 1896».(1) Così si apre il testamento di uno dei più grandi Maestri dell’india moderna.

Sedere accanto a questo Maestro - qualcuno ha scritto - portava alla consapevolezza che noi non siamo completamente uomini, in quanto l’umanità si realizza nella sua pienezza proprio quando, come nel suo caso, la natura umana diventa simbolo e tempio della Perfezione spirituale.

Ramana Maharshi e la Tradizione Advaita

L'Advaita è la filosofia - se così si può chiamare- che fu insegnata da Sri Ramana Maharshi attraverso la sua vita e attraverso le sue "opere". Advaita come verità, significa "non dualità"; Come filosofia, si può rendere come "non dualismo". Ciò non significa che la filosofia in questione sia un sistema chiuso, perché non è un sistema filosofico. Indica l'esperienza plenaria della non dualità, che sta al di là delle costruzioni del pensiero.

Sebbene il pensiero sia utile, in quanto può dirci che cosa la realtà non è, la realtà stessa non può essere imprigionata entro i suoi confini. Ciò che abbiamo chiamato esperienza plenaria è l'Io non duale dove non vi sono distinzioni. Sri Ramana Maharshi "acquisì" o meglio scoprì questa esperienza senza studi formali. I libri che egli lesse più tardi servirono solo a confermare la sua esperienza dell'Advaita.

L'Advaita come tradizione, si può far risalire ai Veda e alle Upanishad. In alcuni inni vedici, che hanno argomento metafisico, la Realtà suprema è chiamata "l'Unico Essere" (ekam sat), "Quell'Uno" (tat ekam), ecc. La dottrina dell'Uno trova una chiara esposizione nelle Upanisad che costituiscono il Vedanta la Fine dei Veda.

I termini spesso impiegati nelle Upanishad per designare l'Unico Essere sono Brahman ed Atman Brahman, che è la base dell'universo, proclamato identico ad Atman. "Qui non vi è alcuna pluralità " dice un testo upanishadico, e soggiunge: "Dalla morte alla morte va colui che vede la pluralità qui, come se ci fosse".

Nel centro della grotta del cuore il puro Brahman solo risplende direttamente nella forma dell'Io come " io-io ". Entra nel cuore con mente ricercante, e dissolvendo (l'ego) mediante il controllo del respiro, dimora nell'Io (Sri Ramana).

Rimanendo Testimone

D. Potreste spiegarmi il fenomeno di Sri  Ramana Maharsi, che apparentemente ottenne l’illuminazione del tutto spontaneamente, senza fare alcunché?

R. Nessuno può dare una spiegazione delle cose. Le cose sono come sono e non c’è niente da spiegare. La sola cosa possibile è mettere in evidenza la ragione per cui sembra di non essere a conoscenza di ciò che siamo.

D’altra parte ci sono alcune cose che sono del tutto ovvie. Quando, a diciassette anni, Venkataraman fu preso dal panico e sentì che stava per morire avrebbe potuto precipitarsi dal dottore e chiedere un tranquillante, cosa che la grande maggioranza di noi avrebbe fatto. Ma già a quell’età egli era talmente maturo che accettò e si arrese al panico senza fuggire. Il che sta a dimostrare che era un ragazzo molto coraggioso. Lasciò che il panico lo investisse, si stese sul pavimento, e si abbandonò a ciò che sembrava inevitabile: «Io sto per morire. Che cosa sta veramente accadendo?».

In altre parole, egli si ritirò spontaneamente dalla sua individualità e assunse la posizione del Testimone.

È importante riconoscere che, in questo modo, egli rinunciò a ogni desiderio di continuare a vivere nel tempo e nello spazio. Poi, come tu dici, l’illuminazione sopraggiunse senza che ci fosse bisogno di fare qualcosa, ed è inevitabile che sia così. Infatti, la realizzazione avviene solamente quando smettiamo di fare qualcosa, quando dimentichiamo il "facitore" in noi, frutto di proiezioni, e rimaniamo "testimoni" di ogni evento che appare e scompare. Inoltre egli adottò il "punto di vista del Testimone" nel momento più critico fra tutti: quando il panico che giace alla radice dell’individualità si precipitò su di lui.

Mentale I

Ramana Maharshi 

D. Ma che cosa è il mentale?

R. Il mentale è una delle forme sotto cui la vita si manifesta. Un pezzo di legno o una macchina complicata non sono chiamati “mentale”. La forza vitale si manifesta non solo sotto forma di attività vitale ma anche sotto forma di quel fenomeno di coscienza che si denomina mentale.

D. Qual è la relazione fra il mentale e l’oggetto? Il mentale entra in contatto con qualcosa di distinto, vale a dire il mondo?

R. Il mondo viene “sofferto” negli stati di sogno e di veglia dalle facoltà dei sensi, oppure è l’oggetto di una percezione o di un pensiero. In entrambi i casi si tratta di attività mentali. Se la duplice attività mentale, del sogno e della veglia, non esistesse, non si percepirebbe un “mondo” e non si con­cluderebbe che esso esiste.

Mentale II

Ramana Maharshi

R. Tutti si lamentano della perpetua agitazione del mentale. Che si mettano dunque alla ricerca del loro mentale, e quando lo avranno scoperto, allora comprenderanno. È proprio vero che quando un uomo si apparta per meditare tranquillamente è immediatamente assalito da numerosi pensieri. Tutti i suoi tentativi di dominare questo flusso di marea si rivelano infruttuosi. Se invece perviene a dimorare al centro del Sé, la sua attitudine mentale sarà quella giusta.

Coloro che non possono dimorare nel Sé devono ricorrere al canto (japa) o alla meditazione (dhyana). È come deporre una catena davanti alla proboscide di un elefante agitato. La proboscide di un elefante inattivo è sempre in movimento. Se cammina in città, lancia la sua proboscide in ogni direzione per cercare di afferrare a caso qualsiasi cosa. Dal momento che gli si dà una catena da portare con la proboscide si calma immediatamente. Questa immagine si può applicare al mentale dell’uomo. Dal momento che si mette a praticare il japa o il dhyana, ogni altra attività mentale cessa a poco a poco e il mentale si concentra su un solo pensiero. Facendo questo l’agitazione scompare e regna la calma. Sia chiaro, questo stato di pace non si ottiene senza una lotta a volte molto lunga. Tutti gli altri pensieri devono essere combattuti.

Mentale III

Ramana Maharshi  

[K.R.V. Iyer] D. Come purificare il mentale?

R. Gli Shastra dicono: “Mediante il karma, la bhakti, ecc.”. Uno dei miei fedeli mi pose un giorno la stessa domanda. Gli ho risposto: “Mediante il vostro karma dedicato a Dio.” Non basta pensare a Dio mentre il vostro karma si svolge. Bisogna pensare a Dio continuamente e senza soste. È allora che il vostro mentale diventerà puro.

D. Come purificarlo, allora?

R. Dedicatevi alla ricerca del Sé o atma-vichara, provocate cioè la scomparsa dell’idea centrale “Io sono il corpo”. [298.290]

D. Per tornare all’arte di eliminare i pensieri e di sviluppare al loro posto l’intuizione, si può dire che ci sono due stadi distinti separati da un territorio neutro che non sarebbe più il mentale né l’intuizione? Oppure l’assenza del mentale provoca necessariamente la Realizzazione del Sé?

R. Per l’abhyasin (colui che pratica) esistono in effetti due stadi differenti. E c’è un terreno neutro: sonno senza sogni, coma, svenimento, follia, ecc., dove le operazioni “mentali” non esistono più, vale a dire che la coscienza di sé è abolita.

Mentale IV

Ramana Maharshi 

D. Lo stesso mentale è molto sottile. In fondo è la stessa cosa che l’atman. Come arriveremo a conoscere la sua natura? Avete detto che ogni supporto del pensiero è inutile. Quale deve essere la nostra posizione?

R. Dove si trova il vostro mentale?

D. Dove si trova?

R. Chiedetelo al vostro mentale stesso.

D. Preferisco chiederlo a voi. Devo concentrarmi sul mio mentale?

R. Eeh!

D. Ma qual è dunque la natura del mentale? Esso è senza forma. È un problema imbarazzante.

R. Perché siete perplesso?

D. Le Scritture sacre ci raccomandano di concentrarci e io non ci riesco.

R. Quali sono le Scritture sacre (Shastra) che vi hanno permesso di prendere coscienza della vostra esistenza?

D. È una questione di esperienza. Ma io desidero concentrarmi.

R. Siate libero da ogni pensiero. Non attaccatevi più a niente. E i pensieri non si attaccheranno più a voi. Siate voi stesso.

D. Non sempre riesco ad afferrare quale deve essere la mia posizione e su cosa devo concentrarmi. Posso meditare sul mio mentale?

Bhakti

Ramana Maharshi

[Un sadhu:] D. La via della bhakti consiste nel dimenticare il corpo fisico, ecc.?

R. Perché vi preoccupate del corpo? Praticate la vostra bhakti e non curatevi di sapere cosa accadrà al vostro corpo. [122]

D. Qual è l’efficacia della via devozionale (bhakti)?

R. Finché esisterà vibhakti, sarà necessario ricorrere a bhakti. Finché durerà viyoga, occorrerà perseguire lo yoga. Finché durerà la dualità, ci sarà Dio e il suo adoratore. Finché durerà il vichara, ci sarà ugualmente dualità.

Sarà solo quando ci si sarà fusi nella Sorgente che non resterà altro che l’unità. Lo stesso è per la bhakti. Quando il Dio della preghiera è realizzato, non c’è che l’unità. Perché Dio è anche pensato nel Sé e dal Sé. Dio è dunque identico al Sé.

Se qualcuno riceve il consiglio di praticare la bhakti per Dio e vi si consacra costantemente, è una buona cosa. Ma esiste un’altra categoria di uomini, che replica: “Noi siamo due; Dio ed io. Prima di cercare di conoscere un Dio lontano, voglio prima conoscere l’Io che mi è più immediato ed intimo.” A queste persone occorre insegnare il vichara-marga. In effetti, non c’è differenza fra la bhakti e il vichara. [128]

Il Samadhi secondo Sri Ramana Maharshi

Sri Ramana veniva spesso interrogato sul samadhi con le sue diverse accezioni; qui vengono presentate alcune sue parole prese nei diversi dialoghi, dove spiega la differenza fra i diversi stati nei resoconti delle conversazioni svoltesi con i vari ospiti dello Sri Ramanasramam.