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Siva Lingam

L'espressione Shiva-Lingam non intende il Lingam di Shiva, Shiva stesso è il Lingam.

Lingam significa l’‘indicatore’, come il fumo è l’indicatore del fuoco. Attraverso Shiva ogni cosa è condotta alla coscienza e di conseguenza mostrata, ma nulla può mostrare Shiva. Attraverso la Sua Coscienza-rivelata Egli anima tutta la manifestazione.
La materia necessita di essere animata dallo Spirito ma lo Spirito soltanto da Sé-stesso. 
Se Shiva non fosse pura Consapevolezza come potrebbe Lui essere Shiva? E se Egli fosse non-esistente l’intero universo che Lo manifesta sarebbe non esistente! Ci sarebbe pura ignoranza.

L’esistenza dell’ignoranza non può essere conosciuta dall’ignoranza. E’ Shiva, pura Consapevolezza e Testimone della manifestazione, che ci ricorda della manifestazione; ma lo Shiva che ci ha presente non è ricordato.

Questo Maheswara (altro nome di Shiva) è Pura Luce. Così dichiarano le scritture. L’universo è percepito attraverso la Sua Luce. Per le anime illuminate lo Shiva-Lingam è in verità meritevole di venerazione.

E’ Lui che dà vita e luce a tutto, anche quando lo vediamo attraverso il potere della Sua maya come il Colle Arunachala in cui Si mostra offuscato e inerte. L’ente indiscriminato non percepisce la Luce di Shiva nello Shiva-Lingam.

Alcuni dicono che le Mahavakya (i grandi detti vedici, uno dei quali: ‘That thou art’) sono il lingam o l’indicatore di Shiva, altri che è maya, la proprietà di Shiva; altri ancora che è l’intelletto o il senso-ego; altri dicono che è la forza-vitale, suono o esistenza. Ma i grandi saggi dichiarano con assoluta consapevolezza che poiché Shiva è il Sé-autorisplendente non c’è nulla che Lo mostri.

Desiderio e non desiderio

Cos’è il desiderio?

Possiamo dirlo... anelito verso altro, trasformazione verso altro, movimento verso altro. Quindi si necessita una alterità e un processo. Osserviamo come non sia richiesto alcun soggetto, perché alla fine il soggetto è il processo stesso, ossia il desiderio. Il desiderio è il soggetto, o quanto noi crediamo tale, del sensibile o manifesto. Se un aspirante si osserva alla ricerca di quanto chiama io, troverà solo dei movimenti, delle credenze, delle adesioni (aderenti o conseguenti ai desideri), esauriti i quali non c’è più nulla da esaminare... se non un sottofondo, un movimento, quello stesso che si sta manifestando in quell’istante e che è a sua volta un desiderio (in quel specifico caso di conoscenza).

Spostandosi dall’individuale all’universale, ecco che lo scopo, la causa del manifesto è l’ottemperamento di un desiderio... un desiderio di esistenza pura, di alterità intesa come autoesistenza.

Volendo spostarsi da un altro punto di vista, la stessa affermazione può essere detta altresì: «Il manifesto è lo svolgimento di tanti diversi effetti causati o desideri».

Eppure ci sono i libri e persone che non fanno altro che invocare l’elisione e l’annullamento dei desideri...

Nascita e giovinezza

Shankara - 1 -

Il secolo che vide la nascita di Shankara non fu dissimile dal nostro. L'India era, a quel tempo, divisa politicamente e turbata socialmente. L'odio generava odio e la pace era sacrificata sull'altare dell'egoismo e della cupidigia. C'erano coloro che si attenevano alla lettera delle scritture, non riuscendo a capirne lo spirito; c'erano nichilisti e iconoclasti, che erano pronti a distruggere tutto ciò che era sacro e antico. Il conflitto regnava tra le scuole filosofiche e l'ostilità dominava tra le diverse sette religiose. Sia i religiosi che i laici sembravano aver dimenticato l'insegnamento fondamentale dei Veda: che la Realtà è Una. Tanto i capi quanto i seguaci delle varie fedi usavano la religione come mezzo di sopraffazione anziché trovare in essa il conforto della vita.

Fu in un tale periodo di crisi e confusione che Shankara nacque. Egli dedicò l'intera sua breve vita terrena a rimarginare le ferite del cuore e della mente degli uomini e a indicare il cammino per la liberazione. Diagnosticando la malattia, che distruggeva gli organi vitali della società, nella separatività, Samkara prescrisse quale unico mezzo di guarigione la conoscenza dell'Unità, la filosofia upanishadica dello Spirito non-duale. Questo rimedio, potente in tutte le epoche, ebbe una speciale rilevanza nel periodo di Shankara come lo ha per il nostro.

Sulla Meditazione

D - Mi capita durante il giorno di avere delle sensazioni di vuoto, un vuoto che devo assolutamente riempire e che cerco di colmare col cibo in maniera spropositata o con altri metodi. Da cosa può dipendere?

R - Quel vuoto è una percezione/intuizione dell'io che riporti a livello conscio durante la veglia.

D - Scusa, ma non capisco.

R - Dovrebbe essere semplice paura, evidentemente la meditazione ti ha portato sulla soglia del vuoto e la percezione di tale soglia si proietta anche nel quotidiano.

D - Cosa intendi come vuoto? Forse quel vuoto che si inizia a percepire in certe meditazioni in cui si ha l'impressione di cadere indietro, in un vuoto appunto? Quando arrivo a questo punto, purtroppo mi piglia la paura all´ultimo momento e non faccio nessun salto. C'è un collegamento?

R - Lo stato naturale dell'ente è quello che chiamano Sé o atman. E' il puro essere o pura realtà. Mettiamo da parte in questa discussione che la Pura Realtà o Essere è identica a Quello, il Brahman o Realtà Assoluta. Lo stato naturale dell'essere, quindi la Pura Realtà viene offuscata dal movimento (adesione alle azioni, pensieri, riflessioni, etc. etc.) che alcuni chiamano maya e la cui adesione ad esso viene chiamata avidya.

La meditazione dovrebbe consistere nel "giacere" in tale stato di Pura Realtà.

Analisi comparativa veglia-sonno

(Estratto di una conversazione tenuta a Montpellier.) 

Il darsana Vedanta Advaita di Shankara (advaita: Uno senza secondo) distingue tre ordini di realtà:

a) ontologica (paramarthika satta)1

b) empirica (vyavaharika satta)

c) illusoria (pratibhasika satta)

La realtà illusoria può, a sua volta, prendere diversi aspetti:

1) L’aspetto momentaneo e individuale. Al crepuscolo scambio un pezzo di corda per un serpente, un vecchio tronco d’albero per un brigante; qualche secondo più tardi questo errore è dissipato: il serpente (o il brigante) è scomparso, ciò che vedo è solo un pezzo di corda (o un vecchio tronco d’albero). Pur essendo in compagnia di molte persone, io soltanto ho avuto questa esperienza rimanendo vittima dell’allucinazione. Questa forma di errore è naturale, può presentarsi alla nostra immaginazione in ogni momento.

2) L’aspetto collettivo. L’illusionista proietta un quadro-immagine che è percepito da molti individui.

3) L’aspetto onirico. Questo aspetto abbraccia tutte le esperienze del sogno.

Dialoghi 02

A - "Io sono Quello", affermano le scritture della tradizione metafisica, ma io sono anche Questo... Due parole, una dualità, un unica vita.  Il concetto (stesso) io sono (qualunque cosa) e' un illusione! La dualità sorge in noi in quanto ci identifichiamo come enti autonomi! Nei momenti di non attenzione, siamo talmente presi nell'agire, che ricadiamo nel senso di separazione. Credo sia comune a tutti, sperimentare questo altalenarsi della coscienza! A meno che non ci si stabilizzi nella tanto sospirata  "liberazione". Nisargadatta insegna che nessuna persona può essere "liberata", ma è "dalla" persona (con la quale ci identifichiamo) che bisogna liberarsi!

B - Presentandola così, è inutile anche parlare....con le parole che abbiamo cerchiamo di esprimere ciò che sentiamo e pensiamo, per questo si usano spesso immagini o simboli, per permettere alla coscienza di "avere una visione" e di non attaccarsi rigidamente ai termini...

Così è per l'immagine di radice-tronco-albero o di albero-riflesso-acqua, ma anche per quelle "classiche" del tipo corda-serpente o anche per quelle matematiche del tipo 1/2+1/2=1  ....altrimenti come fai a comunicare? Poi, perché < il concetto "io sono" è un'illusione? >, o meglio < chi è che afferma che il concetto io sono è un'illusione>? L'<io affermo>? Come vedi, si può andare avanti all'infinito oppure tacere....il processo verso la consapevolezza richiede sadhana e pazienza....

Dialoghi 01

A - E' vero che bisogna iniziare da ciò che si è... ma è fondamentale tendere a ciò che hanno scritto e detto i grandi Realizzati, senza cristallizzarsi sulle proprie opinioni.

B - E' quel tendere che alle volte lascia perplessi, occorre stare molto attenti, perché anche quel tendere si può cristallizzare in opinione.

A - Leggiamo cosa dice Ramana Maharshi dell'Atman: "...lo stesso Cuore, quale pura Coscienza o Atman, è oltre ogni coordinata spazio-temporale..." "La Pura Coscienza o Atman, completamente indipendente da corpo fisico e trascendente la mente, può essere solo un'esperienza diretta. I Saggi o Rsi conoscono l'eterna esistenza incorporea proprio come i profani conoscono la propria esistenza fisica, ma l'esperienza della Coscienza o Atman può avvenire sia con la consapevolezza del corpo che senza." (tratto da "Il Vangelo di Ramana" ed.I Pitagorici, pag. 111) ...inoltre leggiamo nel glossario alla voce Atman = l'Atman è l'Assoluto in noi, completamente fuori del tempo-spazio-causa, e, in quanto tale, è identico al Brahman, Assoluto in Sé.

B - Consideriamo una cosa... quando leggiamo le parole dei Maestri, come quelle di un qualunque rishi o testo sacro tradizionale dobbiamo cercare di ricordare che esse non sono la verità, ma la sua descrizione o l'indirizzo per la via cui giungere ad essa. Questo significa che ogni parola, ogni frase va letta, sì con gli occhi dell'amore per il Maestro, ma anche con la consapevolezza che la nostra mente non potrà mai immaginare ciò che è senza di essa.

La Tradizione

La caratteristica della metafisica o filosofia dell'essere o filosofia realizzativa o sanathana dharma o tradizione unica, in tutte le sue accezioni spazio temporali o branche o rami o scuole o maestri, è l'identità del testimoniato: l'esistenza di una unica Realtà Assoluta (Brahman) accessibile per identità dell'essente attraverso la trascendenza del molteplice inteso come emanazione della stessa. Ciò viene testimoniato perché l'accesso consiste nella presa di coscienza da parte dell'essente della sua natura di Atman (Pura Realtà) o Essere identico alla Realtà Assoluta. La Tradizione (adesso con la maiuscola, avendo definito il termine) viene detta Vivente perché incarnata di volta in volta da Maestri che "risvegliati" alla Realtà Assoluta, "liberati" dal molteplice, "illuminati" dalla Conoscenza metafisica, ne lasciano testimonianza agli astanti attraverso il silenzio, la parola o l'azione.

Considerazioni sul namarupa

Dal glossario sanscrito: secondo il Vedanta ciò che ha un nome ha anche una forma e viceversa.

Ovvero nome e forma vanno di pari passo, sono facce della stessa medaglia. E la medaglia qual’è? Il nome è suono, il suono è effetto di vibrazione, e la vibrazione è effetto di movimento. Ma anche la forma è effetto di vibrazione e questa del movimento, pertanto sono entrambe effetto del movimento. Si potrebbe aggiungere la determinazione nel discorso, ovvero sostenere che un determinato movimento-vibrazione ha come effetto, sul piano dei nomi e delle forme, un nome ed una forma determinata.

Il che a dire che una determinata forma ha un determinato nome-suono e viceversa. Provo a spiegarmi meglio; i nostri strumenti di contatto col mondo (vista, udito, tatto, olfatto, gusto) cosa sono se non organi specializzati a captare particolari vibrazioni (sonore, luminose, ecc ecc).